L’ho scoperto sul blog di Dontyna. La notizia non l’avevo vista subito sui giornali. Stamattina nei giornali on line era già ridotta a un righino, dove c’era, o era finita addirittura negli spettacoli. E nei giornali cartacei – in quelli che la davano – mi era sfuggita.
Ryszard Kapuscinski è morto a Varsavia, a 74 anni. Dopo aver innumerevoli volte scampato la morte che si presentava ogni volta in forma diversa. In forma di pallottole, machete, cannonate, predoni, folle inferocite, malaria cerebrale, sempre nei ‘margini’ del mondo che amava vivere e raccontare. L’ha ingannata più volte, la morte, ma non l’ultima, non era possibile, e forse lo sapeva: è morto a casa sua, a conclusione di una vita davvero fuori dal comune.
Quante volte ha rischiato di morire, ci ha raccontato le sue paure, i suoi pensieri mentre veniva fermato in Congo da ribelli armati di lunghi machete nel cuore della notte, mentre delirava in preda alla malattia, che non aveva i soldi per curare, lui inviato di un’agenzia polacca senza i mezzi dei colleghi più ricchi. E proprio per questo, vivendo come la gente che raccontava, vivendone le stesse esperienze, le stesse difficoltà, le stesse malattie, i suoi reportage, i suoi articoli erano più veri, più profondi, più intensi. Forse non avrebbe nemmeno voluto morire a casa, che – lo ricordava spesso – non era altro che una parentesi per rifiatare fra un viaggio e l’altro. Viaggiava ancora tanto, scriveva, rilasciava interviste, per trasmettere la sua idea di giornalismo, per raccontare le storie degli ultimi, dei marginali, del terzo mondo che aveva visto nascere.
Ho riletto la notizia più volte, mi ha colpito, non sono riuscito a trattenere le lacrime. Non è retorica, è vero. Dopo aver letto quasi tutti i suoi libri pubblicati in italiano, per me se ne va un compagno di viaggio, di viaggi reali, nei quali portavo spesso qualcosa di suo. Compagno di viaggi solo immaginati, di viaggi vissuti e visti attraverso i suoi occhi, in Asia, in Africa. Attraverso i suoi occhi e attraverso le sue parole. Per me è stato, oltre che uno scrittore che ho amato molto e del quale non avevo mai abbastanza da leggere, un maestro di scrittura, di storia e soprattutto di giornalismo.
Non ho a portata di mano, qui, un suo libro, per ricordarlo con le sue parole, come vorrei fare. Io vi invito soltanto, se non l’avete ancora fatto, a leggere i suoi libri.
Link: Il vagabondo della storia (di Andrea Nicastro) , Pino Scaccia: un ricordo e l’ultima intervista
I due suoi libri che più ho amato: In viaggio con Erodoto, Ebano