Ricordo che quando si scendeva dal treno, alla fine di 25, 27 giorni a zonzo per l’Europa, rimbombava ancora nel cervello il sussulto regolare delle traversine che scandiva le giornate. Ricordo lo stomaco un po’ vuoto, il portafogli leggero, lo zaino pieno di vestiti sporchi, la testa piena di immagini indimenticabili. Ricordo anche la sensazione che a un certo punto si manifestava con certezza: era l’ora di tornare a casa, di immagazzinare l’esperienza appena vissuta, di salutare i compagni del viaggio appena concluso con cui si era condiviso tutto.
Non so se siano tanti i ragazzi che vivono ancora l’esperienza dell’InterRail (o Inter rail). Statistiche e dati non li ho trovati (se qualcuno li ha, è gradito un link nei commenti). Ma l’impressione – parlando con chi ha qualche anno di meno – è che rispetto a dieci anni fa il viaggio in treno che ha segnato generazioni sia sempre meno gettonato, stritolato dai pratici, economici voli low cost, il classico fly and drive, magari nella vicina e comoda Spagna. I miei fratelli non hanno vissuto l’esperienza dell’InterRail. Come non l’hanno vissuta i ragazzi fra 18 e i 25 anni con cui ho avuto occasione di parlare di viaggi.