Aggiornamento 2013: quello che è scritto qui è sempre valido, ma ho pubblicato un post più completo sul Laugavegur

Alftavatn, prima o seconda tappa del trekking. Avete nelle gambe 12 o 24 chilometri? (foto di Patrick Colgan)
Prati verdi, deserti grigi, montagne rosse, ghiacciai bianchi, ghiacciai neri. E poi ancora colline nere, colline gialle, colline bianche. E ancora gole, cascate, laghi. E sorgenti sulfuree, campi di lava, immense distese di cenere, vulcani spenti che trasmettono una sottile inquietudine.
Quello che è incredibile, davvero incredibile, dell’Islanda è la concentrazione in pochissimo spazio di così tanti colori, paesaggi, ecosistemi. La presenza dell’uomo è marginale. Una sola vera città lungo oltre mille chilometri di costa e tanti piccoli avamposti distanziati da decine di chilometri. Basta fare qualche passo verso l’interno dell’isola e l’uomo sparisce quasi subito. La sua fuggevole presenza è ricordata solo da alcuni sterrati, quasi sempre deserti.
Sul popolare Laugavegur, il famoso e frequentatissimo trekking di tre-quattro giorni fra Landmannalaugar e Thorsmork, nel sud dell’Islanda, i paesaggi, i colori, sono schiacciati, ammassati, sembra stiano per implodere tanto sono vicini, stipati in tanto poco spazio. Li si incontra uno alla volta e tutti assieme lungo appena 55 chilometri di sentieri ripidi e sconnessi. E nonostante questo, ovunque si sente il senso dello spazio, del vuoto, forse perché ovunque incombono i cieli luminosi e immensi del nord.
Camminare è una sorpresa continua. E una fatica, sotto pioggia, vento e pure sole bruciante, neve a volte, camminando su cenere, sabbia, fango, ghiaccio sottile, guadando fiumi. Faticoso soprattutto se siete soli e con la tenda sulle spalle (molto meno se dormite nei rifugi e camminate leggeri). Ma ne vale ampiamente la pena.
Se riesco a trovare le parole nei prossimi giorni ve lo racconto.
Ho fatto anche qualche foto.
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