La Barriera di separazione diventa anche una grande tela, parlante.
L’ombra proiettata da questo alto muro sulle case non mi concede solo il sollievo del riparo dal sole mediorientale, che brucia anche a fine ottobre. Questa tenebra mi incute un senso di cupa angoscia, di claustrofobia, una paura che ignoravo. Perché più che le barriere, gli spazi confinati, mi hanno sempre fatto paura il vuoto, la profondità. Oggi sono messo di fronte a nuove dimensioni, nuovi timori ai quali non sono abituato. Penso con un misto di vergogna e imbarazzo a quando, scegliendo la casa dove vivo, ho cercato alla sfinimento la luce giusta, quello che avrei visto dalle finestre. E provo a immaginare a quello che si vede dai vetri che si affacciano su questo cemento che mi fa mancare il respiro. Da lontano il senso di claustrofobia sfuma, ma il profilo di questo abbraccio grigio che si infila in maniera scomposta fra le case di Betlemme ha qualcosa di sbagliato, di terribile.

Penso alla tetra ‘Peace line’ che taglia Belfast e che ho visto alcuni anni fa, più che al Muro di Berlino, che ho visto solo in televisione. E ricordo la stessa inquietudine.
Nota: questo viaggio è stato fatto alcuni anni fa: la situazione di chi vive in questi posti non è probabilmente molto diversa. Non so se le opere degli artisti di cui parlo in questo post, esistano ancora tutte come le ho viste.
La Barriera di separazione
La controversa Barriera di separazione (che, a seconda del punto di vista, è definita Barriera di sicurezza o Muro della vergogna anche all’interno dello stesso Israele) costruita a partire dal 2002 e ancora non terminata, separa Israele dai Territori palestinesi in Cisgiordania, West bank in inglese. La posizione ufficiale di Israele è che il muro in Palestina serve a bloccare gli attentati terroristici (e che in effetti si sono fortemente ridotti dopo la sua costruzione), per i palestinesi il suo percorso irregolare serve invece solo a strappare territorio a quello fissato dagli accordi di Oslo e peggiora sensibilmente le condizioni di vita della popolazione locale che spesso ha (o aveva) lavori, parenti, conoscenti al di là della barriera. E su quest’ultimo punto è davvero difficile dissentire.
Ma su questa barriera (lunga circa 150 chilometri e molto varia per altezza, si va da un muro di oltre otto metri a uno di tre, fino a una semplice rete) non riesco a scrivere altro, non posso scrivere altro.
Riesco a parlare solo di me, di quello che provo all’ombra di queste pareti o camminando lungo gli stretti corridoi del checkpoint di Kalandia, fra Ramallah e Gerusalemme. Sono circondato da sbarre, reti e filo spinato. Ci sono altre persone dietro e davanti a me. E per fortuna non è l’orario di punta quando in fila ci sono centinaia di persone e l’attesa può durare un’ora o più. Aspetto sempre in silenzio di fronte ai pesanti tornelli, come quelli degli stadi. Siamo in attesa di una luce verde e del suono metallico della serratura che scatta. Tocca a me, la luce è verde: premo la mano sul ferro, ma non si muove.
Qualcuno dietro di me fa una battuta “verde significa andare avanti, no?”. Aspetto ancora, poi un clangore pesante mi dice che è il mio turno. Passo il tornello e mi sento perso e inquieto. Una voce brusca che sembra uscire da una scatola di ferro mi risveglia, mi richiama: “Show your passport”. Lo schiaccio su di un vetro blindato, lo mostro a una ragazza in divisa militare dallo sguardo vuoto. Mi fa un cenno, posso andare. Ci sono un altro corridoio e un altro tornello e quando esco da quel budello angusto di cemento, mattoni, metallo, mi sembra di respirare per la prima volta.

Banksy e la street art sul muro in Cisgiordania
Come scrive Giulia Cimarosti, che ha visitato questi luoghi, “dove c’è politica ci sono scritte sui muri”. E così nei territori palestinesi, come a Belfast, la street art ha assunto da alcuni anni un ruolo particolare. Il muro è diventato un’enorme tela per artisti locali e di tutto il mondo, fra i quali il più famoso è Banksy uno dei primi a venire (ma ci sono anche gli italiani Blu ed Ericailcane). Accanto a messaggi di pace, o immagini ironiche o traboccanti speranza, ci sono scritte politiche più elementari, slogan che invocano una Palestina libera, frasi a volte disperate, ma anche messaggi violenti, incitamenti alla ribellione violenta, i volti santificati dei protagonisti della lotta armata. Queste pareti parlano una babele di lingue affascinante e dolorosa, confusa e contraddittoria, ma che spesso ha un volume e una capacità di farsi capire, per me, molto più alta di quelle delle armi.
Cito sempre il post di Giulia
Pictures have the power to convey a whole feeling, a whole story, in a universal language that doesn’t need any translation or explanation
(Le immagini hanno il potere di trasmettere un’intera sensazione, un’intera storia, in un linguaggio universale che non richiede alcuna traduzione o spiegazione
Il rischio della superficialità
Il rischio è però che si veda solo quello, che ci si fermi alla superficie. I messaggi sono difficili da comprendere se non si capisce qualcosa di più di quello che ci sta intorno. Già oggi i tassisti urlano ‘Banksy Banksy, graffiti’ ai pochi turisti che passano il check point a piedi. La maggior parte va ai luoghi sacri di Betlemme su grandi pullman con i tour organizzati e spesso non spendono una lira, altri fanno un veloce giro mordi e fuggi in taxi della street art e magari fanno un salto alla Basilica della Natività prima di tornarsene a Gerusalemme. “E’ colpa della paura, dopo la seconda Intifada hanno tutti paura”, dicono da queste parti e mostrano le file di negozi chiusi lungo la strada pedonale che va verso la capitale. Via delle stelle, si chiama.
Il rischio che ci si potesse fermare alla superficie o che addirittura gli effetti dei messaggi sul muro potessero essere negativi lo aveva forse già compreso lo stesso Banksy, se è vero questo dialogo con un vecchio palestinese che lui stesso racconta:
Old man: You paint the wall, you make it looks beautiful.
Banksy: Thanks
Old man: We don’t want it to be beautiful, we hate this wall, go home.Anziano: Dipingi il muro, lo rendi bello
Banksy: Grazie
Anziano: Non vogliamo che sia bello, odiamo questo muro, vattene.
E invece c’è altro, non solo un muro dipinto da vedere. Se le condizioni di sicurezza, che cambiano ogni giorno, lo consentono, ti invito ad andare in Cisgiordania, e a fare un viaggio più completo di un mordi e fuggi per vedere la chiesa e i graffiti. Ci sono varie agenzie che propongono escursioni di uno o più giorni in questa parte tormentata del mondo.
Noi ci siamo trovati molto bene con Green olive tours, un’agenzia che riunisce assieme israeliani, arabi (e chiunque altro senza alcuna discriminazione, spiegano nella carta d’intenti) e che permette a chi è interessato di incontrare e ascoltare le ragioni di coloni e palestinesi, di dibattere, fare domande e visitare Israele e la Cisgiordania, anche i posti più difficili come Hebron. E non si tratta di tour del dolore o dell’orrore, né di propaganda, per quanto il punto di vista sia quello di pacifisti.
Per me è un modo per provare a capire, vedere, incontrare, confrontarsi in un modo sostenibile, che aiuta il dialogo e il confronto e contribuisce all’economia delle comunità locali.


Viaggiare sicuri (Farnesina) – Territori palestinesi
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6 Commenti
Che splendide foto Patrick!
Stavo cercando fonti per capire se quanto mi ha detto il tassista a Betlemme corrispondesse al vero, e poi ho trovato il tuo pezzo… Emozione!
A me hanno però detto che Banksy fosse presente anche sul muro di Betlemme, dove c’è Ericailcane, mi chiedevo, ti risulta? ;)
Grazie! Non mi ricordo, sinceramente. Di Banksy ne abbiamo visti 4-5 e di Ericailcane credo solo quello che ho fotografato (che era nei pressi di Betlemme), se fai un giro con una guida li conosce sicuramente tutti.
Davvero bello, complimenti!!
Chissà se sotto il Muro di Berlino si provavano le stesse cose…
Un articolo molto interessante ed approfondito su un argomento che mi sta particolarmente a cuore… molto belle anche le foto, complimenti per il tuo lavoro.
Grazie pe la citazione.
Per la cronaca, io ho visitato la Cisgiordania con Abraham Tours, con guida Palestinese, e mi sono trovata molto bene. E’ bello che ci sia il modo di visitare questi posti, anche se meriterebbero molto tempo per approfondire la conoscenza della situazione… molto, molto complessa, a tratti incomprensibile!
Grazie per aver condiviso la tua esperienza, penso che sia importante far vedere che è possibile visitare questi luoghi, che anche lì la vita di tutti i giorni in qualche modo scorre…