Al centro del mondo a Mumbai

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Il ritorno in India dopo otto anni è iniziato da una città a lungo sognata, immaginata, temuta.  I miei due giorni a Mumbai.

Si dice che ogni giorno arrivino a Bombay, per viverci, millecinquecento persone, trecentocinquanta famiglie. Provengono perlopiù dalla campagna, non hanno quasi nulla, e a Bombay non c’è spazio per loro (…) all’estremità meridionale dell’isola, gli spazi liberi sono pochi; il sovraffollamento delle zone residenziali e l’afa inducono la gente a riversarsi nei pochi spazi pubblici disponibili, di solito le strade, tanto che essere a Bombay significa trovarsi costantemente in mezzo alla folla. Di giorno le vie sono intasate; di notte i marciapiedi sono pieni di gente che dorme.
(V.S. Naipaul lo scriveva nel 1977 in Una civiltà ferita: l’India. Sono passati decenni, la città ha anche cambiato nome, ma non mi sembra sia cambiato molto).

umbai ti accoglie con lo schiaffo appiccicoso dell’afa sul volto e il mare di baracche dei suoi slum che abbracciano la grande città e si insinuano in ogni spazio lasciato libero (per il momento) dai grattacieli. Si insinuano anche nei tuoi pensieri e non se ne vanno. Rievocano tutto quello che hai letto nei libri, da Shantaram, a Giochi Sacri fino a Maximum city e a Elephanta Suite.
Mumbai l’ho pensata, esplorata e temuta più e più volte. E mentre in testa si sovrappongono le immagini evocate da libri che ho amato su questa città, dal finestrino del taxi intravedo frammenti di quotidianità fra le casupole di mattoni, plastica e lamiera: gente con la spesa, gente che si lava, gente che cucina. Provo anche vergogna per questa intrusione, che è quasi inevitabile. E’ solo l’impressione di uno che è appena arrivato e ha la testa piena di libri: ma qui la gente  è troppa, semplicemente, e vive una realtà spietata. Ma sembra tutto normale perché in realtà lo è: oltre la metà dei 20 milioni di abitanti dell’area di Mumbai vive nelle baraccopoli.

Dhobi ghat, Mumbai
Dhobi ghat, la baraccopoli dei lavandai. Qui si lavano i vestiti per mezza Mumbai (foto di Patrick Colgan, 2016)

Mumbai ti accoglie con i suoi monumenti neogotici, le audaci, bellissime, architetture progettate da architetti inglesi: la stazione, l’università e poi la famosa Porta dell’India sono meravigliose. Quindi ci sono le vecchie, coloratissime case portoghesi che cedono il passo ai nuovi edifici scintillanti e infine i palazzi cadenti e scrostati dei chawl, gli alloggi a basso prezzo di chi ha pochissimo, in cui si affollano, schiacciati l’uno contro l’altro, i sogni di chi è appena arrivato e dorme sul pavimento di un parente e di chi invece in questa città si è arenato, perso da anni.

Eppure, se li guardi da vicino, i cortili, i balconi di questi alloggi popolari con la biancheria stesa ordinatamente, uno attaccato all’altro, se osservi le porte tinteggiate di fresco e sbirci negli interni di case che trasudano una ricerca di normalità, intuisci che in questa città ferocemente competitiva e individualista c’è anche un senso di solidarietà. E’ necessario, in un posto in cui vivono fianco a fianco indù, musulmani, cristiani, parsi, jain.
C’è un senso di comunità che resiste nonostante l’odio e la violenza, le cui ombre in città si incontrano come buchi neri, con il loro peso e la loro presenza che quasi deformano lo spazio e i pensieri. Me lo ripetono in diversi: qui non si spegne la memoria delle ombre delle bombe e degli attentati che hanno straziato Mumbai negli ultimi dieci anni, lasciando profonde cicatrici nella sua comunità.

Se siete in ritardo per il lavoro, la mattina a Bombay, e arrivate alla stazione proprio quando il treno sta ripartendo, potete correre a fianco dei vagoni gremiti e vedrete molte mani che si allungano per aiutarvi a salire, protendendosi dal treno come petali. Mentre correte lungo la banchina sarete presi su e sull’orlo della porta aperta verrà fatto un minuscolo spazio per i vostri piedi. Il resto sta a voi. […] Al momento del contatto, non sanno se la mano che si allunga verso di loro appartiene a un indù, a un musulmano o a un cristiano, a un bramino o a un intoccabile. Sanno solo che state cercando di raggiungere la città dell’oro, e tanto basta. Sali a bordo, dicono. Ci stringiamo.
(da Suketu Mehta, Maximum city – citazione da Leggere l’India)

Visitare Mumbai: i tipici chawl
Visitare Mumbai: i tipici chawl (foto di Patrick Colgan, 2016)
La mappa di Mumbai
La mappa di Mumbai

Esplorare Mumbai

Mumbai ti accoglie con la musica assordante delle città indiane. Quella colonna sonora di clacson, motori a due tempi, stridore di gomme e freni e chiacchiericcio impastati fra di loro che non ti lascerà più e che dopo un po’ le orecchie cominceranno a ignorare, a considerare un semplice rumore di fondo. Ti accorgi all’improvviso del silenzio in pochi posti, quelli dove la città si apre in piccole oasi di quiete. La mattina nella spiaggia inquinata e bellissima di Chowpatty. Qui la sera si riversano in tanti per cercare scampo dalla folla, un orizzonte libero che dia senso di spazio, ma è deserta durante il giorno. La quiete, ancora, la si trova nelle vie strette dell’antico quartiere cristiano di Khotachiwadi, dove pochi mezzi a motore si avventurano. Oppure nella vecchia casa di Gandhi, dove per qualche motivo i rumori della strada sembrano non arrivare.

Poi ci sono gli odori con cui Mumbai ti accoglie: la puzza dei gas di scarico, delle pozze di liquami, degli animali in mezzo alla strada e dei rifiuti accatastati che si fondono con i profumi pungenti delle spezie e gli aromi dolci della frutta e delle verdure nella folla del bazar di Dadar, un grande quartiere popolare. E  infine a Mumbai ci sono il profumo del cibo, degli snack di strada o preparati nei piccoli ristorante: l’aroma delle lenticchie, del pane appena fatto, il profumo dolce e acidulo dello yogurt e quello solleticante dello zenzero del masala chai.

Mumbai è troppo in tutto. Ti senti davvero al centro del mondo, di un Paese di un miliardo di persone che assomiglia molto di più al resto della Terra della piccola isola dalla quale sei partito, l’Europa. Questa era la sensazione che mi aveva lasciato l’India quando ero ripartito quasi dieci anni fa. Ed è quella che ritrovo ora. E mentre il taxi mi sta portando all’aeroporto sento che c’è qualcosa che già mi manca e non riesco a capire. So che in questa città un giorno vorrò tornare.

Visitare Mumbai: informazioni pratiche

  • Mumbai si gira facilmente da soli, sfruttando gli onnipresenti taxi per spostarsi sulle distanze più grandi (far attivare sempre il tassametro, meter): brevi tragitti costano l’equivalente di 50 centesimi.
  • Avendo poco tempo abbiamo scelto di fare anche due walking tour con guide locali, prenotate attraverso il sito Mumbai Magic (Mumbai local, giro in città usando i mezzi pubblici usati da tutti e Food walk through Dadar and Ranade road alla scoperta dei bazar più popolari). Un po’ care fatte solo in due – il prezzo cala nettamente all’aumento degli iscritti -, ma davvero eccezionali. E’ un modo molto bello di visitare Mumbai e di parlare approfonditamente con una persona che ci vive.
  • Come base abbiamo scelto (e per quella che è la nostra esperienza, consigliamo) la zona del Fort, vicino alla punta meridionale della città e a Colaba. E’ la zona più frequentata dai turisti, ma è ottimamente collegata e servita. Gli alberghi a Mumbai sono costosi e con poco carattere, praticamente assenti per quello che abbiamo visto, sono b&b, guesthouse e homestay (ma ci siamo trovati bene all’albergo Residency Fort).

I post sul viaggio in India del Sud

  1. L’itinerario nell’India del sud
  2. Al centro del mondo, a Mumbai
  3. Quel maledetto treno per Ooty
  4. Nel mercato di Mysore
  5. Libri sull’India

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5 Commenti

Roberta Zennaro Settembre 23, 2016 - 7:47 pm

Mumbai mi è piaciuta tanto poi son stata a Calcutta… bravo patrick in bocca al lupo

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