Viaggio a Beirut

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Cose che ho amato, cose che non ho capito, cose che mi hanno lasciato la voglia di tornare. E qualche spunto per visitare Beirut.

Che cos’è Beirut? Forse è la città dei grattacieli gelidi e scintillanti che guardano il mare, delle auto costose e delle boutique nel nuovo souk. La città delle banche a profusione e ricchi arabi che fanno shopping. Questo è davvero il suo volto, mi chiedo? Oppure è quella rilassata del passeggio sull’ampio lungomare, la Corniche dove si sente il respiro del Mediterraneo e si indugia per un caffè con la sguardo che si riempie d’azzurro? O è invece quella che qua e là porta ancora le ferite della guerra, buchi di proiettile e palazzi sventrati, quella dei militari, delle torrette, del filo spinato e dei checkpoint onnipresenti, che “fanno parte del panorama” come ci dice una libanese? Malinconia, speranza e anche un po’ di sfrontatezza si mescolano fra le strade di questa città.

Oppure Beirut è quella del traffico incessante e delle vie affollate di Hamra.  Fai qualche passo e non ti ritrovi più perché entri nella città un po’ hipster e un po’ godereccia di Mar Michael, di Armenia street, dei bar eleganti e dei cocktail perfetti, di ragazzi e ragazze che sembrano arrivare da Berlino e che tirano tardi al bancone di un bar elegante. Oppure Beirut è quella del vecchio mercato vicino al nostro appartamento che potrebbe essere ovunque in questa parte del mondo: servizi da tè accatastati, vecchie riviste accanto alla zona delle spezie e quella delle verdure. Forse, infine, sono i sapori che rappresentano Beirut: hummus, tabbouleh, sfeeha, che diventano una routine quotidiana e non ne puoi fare a meno.

Di questo palazzo c'è solo la facciata

Di questo palazzo c’è solo la facciata (Foto di Patrick Colgan, 2019)

Ovviamente Beirut è tutto questo perché è più città allo stesso tempo, è policentrica perché diverse sono le comunità che la abitano. Un puzzle che altrove sarebbe impossibile ricomporre e anche qui ti dà l’idea che i pezzi non aderiscano perfettamente. E sicuramente è molto altro che non sono riuscito a vedere, capire, provare nei cinque giorni in cui ci sono rimasto fra giri in città ed escursioni nel resto del Libano. È una città che ti lascia la voglia di rimanerci un po’, dove immagini che restandoci un mese non ti annoieresti mai.  E sicuramente non riusciresti comunque a capirla davvero.

Provo a raccontarvene qualche aspetto, per punti.

La Corniche

La Corniche (foto di Patrick Colgan, 2019)

Beirut rinata

Beirut è uscita devastata da 15 anni di guerra civile fra il 1975 e il 1990: è la prima cosa alla quale pensano quasi tutti, quando nomini la città. C’è chi ricorda le immagini in televisione, chi le ha viste poi, chi ne ha sentito solo parlare, ma tutti pensano a quella guerra appena sentono parlare di Libano. Ma se non fosse per i militari onnipresenti, a uno sguardo poco attento il passato della città non sarebbe evidente passeggiando per le sue strade. La demolizione e ricostruzione sono state massicce, anche attraverso Solidere, la società pubblico-privata creata dal primo ministro Rafiq Hariri nel 1994 e che ha creato, non senza controversie e critiche, anche le zone di grattacieli scintillanti nella zona della Marina che fanno sembrare Beirut una piccola Dubai. Da dove vengono tutti questi soldi? Lo chiedi e  nessuno ti sa dare una risposta precisa: finanza, servizi, commercio, investimenti stranieri.

La zona di Beirut Marina

La zona di Beirut Marina (foto di Patrick Colgan, 2019)

Non c’è nulla – o non l’ho visto – che racconti o ricordi perché c’è stata la guerra, quali ne sono state le cause. E i segni della devastazione sono pochi, anche se in alcuni casi sono esposti quasi fossero un memento di quello che potrebbe succedere nuovamente da un momento all’altro. E’ il caso del Beirut Dome, quel che resta di un centro commerciale e cinema brutalista piantato a metà durante la guerra e poi finito al centro dei combattimenti di cui porta evidenti, profonde tracce. Le pareti curve che lo fanno sembrano un uovo (un altro nome è the egg) sono screziate da ferite di granate, colpi di proiettile. Sembra possa venir giù da un momento all’altro, ma è diventato un simbolo della città, molto amato, e viene sfruttato per feste, eventi, illuminato con colori strani. Con le sue forme arrotondate non sembra in realtà proprio un uovo, quanto un disco volante, oppure la testa di un tripode della Guerra dei mondi, ormai inoffensivo.

Il Dome è un simbolo della città, ma non si sa bene se abbatterlo, restaurarlo (e se sì, come), o cosa farne, visto che nella zona sono previste nuove costruzioni. L’area è di proprietà privata e l’unica certezza del proprietario sembra sia quella di limitarne l’accesso: qui c’è un bell’articolo in inglese che lo racconta.

Il Beirut Dome

Il Beirut Dome (foto di Patrick Colgan, 2019)

Anche per questi motivi il Beirut Dome non è aperto al pubblico, ma capitiamo mentre stanno allestendo uno spettacolo e quello che sembra il capo cantiere ci invita a entrare e vedere il grande spazio vuoto al piano terra. Ha vissuto a Milano e scherza un po’ sull’Italia prima di salutarci.

Beit Beirut

Beit Beirut (foto di Patrick Colgan, 2019)

Forse l’edificio più iconico della città è però Beit Beirut, che troverete fotografato ovunque, ma è ancor meno accogliente. Si tratta di una vecchia casa sventrata dalle bombe, restaurata mantenendo i segni della guerra. Allo stesso tempo mostra cosa era gran parte di Beirut (e non puoi non provare una certa malinconia) e invita a guardare verso il futuro.

Avrebbe dovuto ospitare mostre d’arte. Purtroppo, nonostante si trovino su internet fantomatici orari di apertura, è spesso chiuso (ma su Facebook ho avuto testimonianze di chi lo ha trovato aperto). All’interno, al momento, c’è una mostra fotografica.

Beit Beirut

Beit Beirut (Foto di Patrick Colgan, 2019)

Beirut è tante città in una

La guerra  civile è una pagina lunga e tragica della storia della città. Ma è un dato di fatto che uno dei lati affascinanti di Beirut e del Libano – e più difficili da comprendere davvero – sia la compresenza di comunità diverse: cristiani, musulmani, drusi, senza contare l’enorme quantità di profughi presenti (palestinesi e ora siriani). In nessun altro posto ho visto moschee e chiese (tre: ortodossa, cattolica e maronita) così vicine come nella zona di Downtown.

Ogni zona ha un suo carattere distinto. Hamra è il quartiere musulmano, affollato e vivace, che ricorda altre città  mediorientali. Poi c’è Achrafieh con un carattere molto diverso: è il quartiere cristiano, posto su un’altura nella zona orientale della città. Qui ci sono ville e splendidi edifici, come quello che ospita il museo Sursock (bellissimo anche solo dall’esterno), ripide scalinate, alcune colorate, collegano le strade su più livelli del quartiere.

Il Grudge Building

Il Grudge Building

Infine c’è la Corniche, il lungomare che arriva fino alle Pigeon rocks, gli spettacolari faraglioni sui quali si affacciano numerosi caffè frequentatissimi col bel tempo dagli abitanti di Beirut. La capitale del Libano in effetti è sul mare, ma la sua presenza si avverte praticamente solo qui. Come se fosse un’altra città ancora.

Sulla Corniche si incontra un altro degli edifici-simbolo della città, il Grudge building. In parte è un edificio normale, in parte è strettissimo. Fu costruito, è la storia, in seguito a una lite fra parenti, sfruttando un sottile appezzamento di terra per una subdola vendetta: il suo unisco scopo, infatti, era quello di oscurare la vista mare al palazzo retrostante.

Visitare Beirut: i Pigeon rocks

Visitare Beirut: i Pigeon rocks (foto di Patrick Colgan, 2019)

Infine, ci sono altre Beirut nascoste sotto il suolo. Lo si scopre nel museo della cripta che si trova sotto alla Cattedrale Ortodossa di San Giorgio. Qui si può constatare che ci sono ben sette strati: la città ha, insomma, vissuto molte vite già in passato subendo terremoti, guerre, conquiste. Sotto la cattedrale così si possono osservare i resti ellenistici, romani, bizantini, medievali, mamelucchi, arrivando nello spazio di pochi metri quadrati fino ai giorni nostri.

Quante Beirut in un'immagine. La Moschea di Mohammed Al Amin e, accanto, la chiesa Maronita di San Giorgio. Davanti, i resti della città romana (foto di Patrick Colgan, 2019)

Quante Beirut in un’immagine. La Moschea di Mohammed Al Amin e, accanto, la chiesa Maronita di San Giorgio. Davanti, i resti della città romana. Sullo sfondo, una foresta di gru: la città del futuro (foto di Patrick Colgan, 2019)

La vita notturna di Beirut

La zona di Armenia street e Gouraud la sera sembra non voler andare mai a letto. I locali eleganti o alternativi che si affacciano sulla via sono rumorosi e affollati di ragazzi e trentenni che sorseggiano un cocktail. In certi momenti sembra di essere in locali alla moda di una capitale europea. E quando la gente se ne va hai il sospetto che sia solo andata in un altro locale a continuare a parlare, divertirsi, ridere, conoscersi. I miei bar preferiti? The Bohemian e Anise. Ma ho l’impressione che restando qualche giorno in più ne avrei aggiunti numerosi alla lista.

Central Station Boutique bar

Central Station Boutique bar

I sapori di Beirut

Lo dicono in tanti e non posso che confermarlo: in Libano si mangia in modo meraviglioso. È uno di quei Paesi nei quali i sapori si fondono con l’esperienza del viaggio e lo accompagnano, lo arricchiscono. Ogni pasto è un’occasione per provare, sperimentare e anche tornare a quei piatti che diventano rapidamente una costante.

Tavolo ricoperto di mezze

Tavolo ricoperto di mezze, e poi birra e vino libanese (foto di Patrick Colgan, 2019

Nei ristoranti di cucina libanese si comincia e spesso si conclude pure con le mezze, il tipico profluvio di antipasti accompagnati dal pane. Quasi tutto è a base di legumi e verdure 4 anche i vegetariani troveranno un sacco di piatti per loro: fatteh (ceci e yogurt), fattoush (insalata croccante con pane libanese), hummus (crema di ceci e sesamo), tabbouleh (insalata di bulghur con prezzemolo e la spiccata acidità del limone) sono solo alcuni dei piatti ricorrenti.

Legumi, pane, olio, cetrioli, pomodori e poi il gusto acidulo di limone, arancia e sumak:  sapori riconoscibili che accomunano il Mediterraneo orientale ed evocano memorie di Grecia e Turchia oltre che del resto del Medio Oriente più in generale, ma che qui trovano una sintesi originale, unica.

Hummus e Labneh

Hummus e Labneh (foto di Patrick Colgan, 2019)

I ristoranti libanesi sono meno di quelli che mi sarei aspettato e in alcune zone abbiamo dovuto faticare un po’ per trovarne. Ne abbiamo provati di diverse fasce di prezzo. Innanzitutto ci sono posti economici come Marrouche (sulla Corniche) e Le Chef (nella zona di Gemmayzeh). Poi, salendo di livello abbiamo provato Enab, con un ottimo rapporto qualità prezzo nella zona armena.

E infine Liza, uno dei migliori ristoranti della città (non facile da prenotare), ad Achrafieh, dove per circa 60 euro a testa potrete gustare la cucina libanese tradizionale in una delle sue massime espressioni in un ristorante curato e accogliente (pur con qualche pecca sul servizio, di cui parlo fra poco). Altro ristorante che troverete su tutte le guide è Em Sherif, che è stato impossibile prenotare.

Liza Beirut

Occhio però al cognac a fine pasto, forse per un difetto di comunicazione ce ne hanno servito tre bicchieri di una bottiglia pregiata che costavano oltre 50 euro… l’uno (non sapevo nemmeno esistesse un cognac così costoso)! Il risultato è che il conto è raddoppiato, decisamente un brindisi da ricordare.

Come visitare Beirut

Al momento in cui scrivo i voli diretti per Beirut partono solo da Roma (con Mea – Middle east airlines). Da Bologna abbiamo volato con la low cost turca Pegasus (scalo a Istanbul), mentre al ritorno con Aegean (scalo ad Atene).

Beirut non è una città economica. I prezzi dei ristoranti di cucina libanese più economici sono bassi e anche i taxi costano poco. Ma per tutto il resto dovrete pagare cifre comparabili a quelle di una capitale europea.

Beirut è un grande cantiere

Beirut è un grande cantiere (foto di Patrick Colgan, 2019)

La capitale del Libano è una città dove si viene per affari più che per turismo. O almeno questa è l’impressione che abbiamo avuto: il risultato è che gli alberghi sono piuttosto cari. Noi ci siamo trovati magnificamente con airbnb, prenotando un grande loft che poteva ospitare tutto il nostro gruppo di cinque persone (se vi interessa è questo).

E la sicurezza? Visto che lo chiedono tutti  dedico due righe anche su questo. Non mi arrischio a scrivere che Beirut sia uno dei posti più sicuri che esistano vista la grande presenza di militari come mi è capitato di leggere. La città però ha vissuto periodi turbolenti e periodicamente i problemi sono tornati – i militari ce lo ricordano a ogni passo – e quindi è sempre bene informarsi prima. In questo momento la situazione è stabile e tranquilla e Beirut è molto accogliente. Nella capitale ho trovato grande serenità e restando nelle zone centrali e spostandomi in taxi o con Uber non ho mai provato senso di insicurezza.

Spostarsi a Beirut

Per visitare Beirut dovrete fare affidamento sui vostri piedi e sull’automobile che è il mezzo principale per spostarsi in un Paese che non ha nemmeno una linea ferroviaria: il traffico intenso lo testimonia. Userete taxi e Uber. Io, almeno, non mi arrischierei mai a guidare nelle strade del Libano anche se il noleggio è un’opzione.

Appena arrivati, come spesso accade, siamo stati truffati all’aeroporto: gli unici sedicenti tassisti visibili hanno preteso 50 dollari americani e ci hanno caricati in sei su un’auto senza contrassegni per uno scomodissimo – e pericoloso – quarto d’ora di viaggio (al ritorno abbiamo speso un quarto su uno spazioso van chiamato con Uber).

Logico che fossimo un po’ scottati. Così la app Uber, dopo questo primo contatto poco piacevole con i trasporti locali, è stata una costante del viaggio. I taxi sono diffusi (ma meno di quel che credevo) e si possono fermare in mezzo la strada, ma abbiamo trovato estremamente pratico e sicuro chiamare le auto con la app. Non avevamo una sim dati locale ma abbiamo sfruttato le reti wi-fi, onnipresenti nei ristoranti e nei locali.

Per continuare a leggere

Vi consiglio di leggere il post di Simonetta su Ritagli di viaggio e quello di Letizia, mia compagna nel viaggio in Libano, sul suo blog Persorsi.

n.b. chiedo perdono per la qualità delle foto, ma sono stato abbandonato dalla macchina fotografica poco prima del viaggio

4 Commenti

Roberto Gennaio 2, 2021 - 1:04 pm

Sono stato in Libano nell’agosto 2019 (ultimo viaggio ahime) e non posso che confermare quello che hai scritto. Certo che oggi con il disastro provocato dall’esplosione di qualche mese fa e la crisi del coronavirus so che il paese è in ginocchio e non credo riuscirà a riprendersi tanto presto. Ad ogni modo a me è sembrato che il paese vivesse già in un clima di continua tensione come sospesa e che da un momento all’altro la miccia delle rivalità etniche religiose potesse esplodere da un momento all’altro. Un bellissimo viaggio che ricordo con piacere nonostante la brutta esperienza di essere stato bloccato ad un check point a Sidone per avere scattato una foto all’ingresso di un campo profughi palestinese che avrebbe potuto costarmi molto caro.

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Kris puhalovich Maggio 1, 2019 - 10:21 pm

9 Febbraio – 7 Giugno 1983 ero lì col nostro contingente militare di pace e Beirut mi è rimasta un po’ nel cuore. Era nel pieno delle guerra civile e i miei ricordi spaziano su una città martoriata e agonizzante. Nemmeno noi sapevamo ( o non volevano farci sapere ) le vere ragioni di quella guerra. Sapevamo solo che c’ erano ben 97 differenti fazioni armate una contro l’ altra ma a volte anche alleate e magari una settimana dopo nuovamente nemiche. ” Occhi sempre aperti ” ci dicevano i nostri superiori e quella era l’ unica certezza per noi ragazzi intorno ai 20 anni. Eravamo di stanza nella zona sud, lungo la strada che andava all’ aeroporto. Mi han detto che un anno dopo il ritiro del nostro contingente quello spiazzo occupato dal nostro accampamento è stato chiamato Piazza italia, chissà se è vero, ma intanto mi porto dentro i sorrisi dei bambini palestinesi che il nostro ospedale da campo curava e le bandierine col cedro libanese che campeggiavano ovunque, a dispetto di un Paese frammentato e che sembrava senza identià. Mi piacerebbe molto tornarci oggi e rivedere quei luoghi anche se, conoscendomi, immagino che non mi piacerebbero tutti quei grattacieli disseminati ovunque : so che in alcuni punti, per costruirli hanno distrutto dei villini liberty bellissimi che incantavano solo a vederli da lontano. Una sola cosa allora, mi ricordo, non mi piaceva del Libano ; era spostato a Est rispetto al suo fuso orario e faceva notte molto presto, ai primi di Giugno quando me ne andai, alle 7,30 di sera era già notte !

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patrickcolgan Maggio 2, 2019 - 9:43 am

Grazie per aver lasciato la tua toccante testimonianza. E’ sicuramente difficile tornare in posti che hanno significato tanto e così pieni di ricordi. Penso che i grattacieli e il lusso un po’ posticcio di certe zone non ti piacerebbero e nel Paese ai profughi palestinesi si sono ora aggiunti i siriani. Però forse ti farebbe piacere vedere una città oggi in pace e così piena di vita e proiettata, con qualche incertezza e qualche scelta discutibile come ovunque, nel futuro.

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Kris Puhalovich. Maggio 2, 2019 - 10:29 pm

E grazie a Te per il bellissimo reportage !

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