Visitare Angkor, “la città”, è un’esperienza potente e indimenticabile. Nonostante la folla e tutto il resto. Informazioni utili per farsi un’idea e i cinque luoghi più emozionanti
Chissà com’era Angkor nel 1860 quando arrivò Henri Mouhot e ‘scoprì’ questo sito. Se lo chiedono ovviamente tutti quando leggono la storia dell’esploratore francese che rivelò al mondo un tempio di pietra enorme, sepolto nella giungla, conosciuto da secoli solo alle persone del posto. E chissà com’era ancora prima, Angkor, quando era parte di una vastissima città abitata, attraversata da canali, senza eguali nel mondo. Chissà com’erano i suoi abitanti.
I cambogiani e gli stranieri se lo sono chiesti per secoli, ritenendo addirittura questi enormi, enigmatici edifici in pietra opera di un architetto celeste. Non avevano tutti i torti. Angkor Wat è un’opera, costruita nell’arco di quarant’anni, la cui portata sfugge alla comprensione, così come tutto lo sterminato complesso di cui fa parte.
Io so com’è oggi, Angkor Wat. E’ difficile far volare l’immaginazione mentre aspettiamo l’alba assieme a una folla che non è esagerato definire da stadio: impossibile dimenticarsi di tutta questa gente, dei treppiedi, degli inutili flash, dei venditori di tè e caffè, delle mongolfiere che compaiono in cielo. E allora l’unico modo di vivere il momento in cui sorge il sole è di lasciarsi andare, prendere una tazza di caffè e partecipare a questo evento per quello che è, uno spettacolo estetico, bellissimo. E dimenticarsi anche che questo luogo straordinario non vive più un’alba solitaria, nessun giorno dell’anno. Bisogna davvero mettersi il cuore in pace: ad Angkor la folla è una costante fin dalle mastodontiche file per il biglietto. E noi ne facciamo parte. Chissà però cosa ne penserebbe Mouhot, chissà se riconoscerebbe questi luoghi.
Ad Angkor è cambiata la quantità di visitatori, ma non la profonda bellezza di questa antica città emana una potenza serena, una sacralità senza tempo. Nonostante i secoli, nonostante la maleducazione di molti turisti che evidentemente non avvertono nulla di tutto questo e si comportano come a un Luna park, a me queste rovine incutono un senso di timore, di ammirazione, di pace.
Come è strutturato il sito di Angkor
Prima di partire avevo letto molto, ma avevo fatto un po’ fatica a farmi un’idea del sito. Provo a descriverlo. E prima di tutto un chiarimento su un punto che causa un po’ di equivoci: Angkor è il nome dell’area, mentre Angkor Wat è uno dei templi principali, sicuramente il più famoso.
Quella di Angkor è un’area molto grande: parliamo di una sorta di quadrato di 50 chilometri per lato e di 276 edifici censiti. Questi numeri sono sempre impressionanti e fanno impallidire chi prepara un viaggio. Ma confondono anche un po’. In genere, durante una normale visita di due o tre giorni, si esplora un’area molto più limitata, all’incirca un quadrato con base di non più di quindici chilometri. E i siti che si visitano sono nemmeno una ventina.
Diciamo che due giorni ad Angkor li sfrutterete tutti.
Un po’ di storia di Angkor
Il nome deriva dal khmer Nagara, la città. Angkor era il centro dell’impero Khmer e il suo periodo di massimo fulgore va dal nono al tredicesimo secolo. Era una città ricca e avanzatissima per l’epoca. Agli inizi del tredicesimo secolo secondo alcune stime contava un milione di abitanti quando le grandi città europee ne avevano circa 50.000. Oggi sono visibili templi (alcuni induisti, altri buddisti), luoghi sacri, parti di città, residenze, vilipesi dal tempo, dall’abbraccio della foresta, ma anche da invasioni e guerre, l’ultima purtroppo recente. E ad Angkor, come nel resto della Cambogia, capita di vedere persone che l’hanno vissuta o ne hanno subito le conseguenze terribili: le mine continuano a provocare dolore a molti decenni di distanza.
La tipica struttura degli edifici, anche se ci sono diversi stili che si sono succeduti nel tempio, è quella del ‘tempio montagna’ in pietra che simboleggia il mitico monte Meru, con numerosi ‘prasat’, torri.
Il Grande e il Piccolo circuito
A meno che non prendiate la bici per visitare Angkor sarà difficile sfuggire ai percorsi classici che prevedono il Grande circuito e il Piccolo circuito: sono stati descritti nel secolo scorso da Henri Marchal, conservatore di Angkor dal 1916, e da allora diventati in pratica gli unici itinerari possibili. Sono comunque utili per orientarsi.
Il primo, il Grande circuito, lungo circa 25 km, comprende gli edifici più antichi a nord della città capitale di Angkor Thom, fra i quali Pre Rup, Neak Pean, Preah Khan.
Il secondo si chiama Piccolo circuito, ma anche se è lungo ‘solo’ 17 km, il nome è fuorviante: i siti sono più vicini l’uno all’altro, a est di Angkor Thom ma molto più complessi e vasti. Comprende alcuni degli edifici più famosi come l’immenso Angkor Wat e poi Bayon e Ta Prohm fra gli altri. In genere il secondo giorno si comincia all’alba: un po’ per godersi lo spettacolo, un po’ perché c’è effettivamente davvero tanto da vedere.
Per quanto si possa contrattare e discutere con gli autisti di tuk tuk o i tassisti, se prendete un veicolo a motore il percorso è sempre più o meno obbligato con il risultato di trovarsi più o meno tutti negli stessi posti alla stessa ora, anche se è possibile qualche piccola variazione.
La visita ad Angkor in due o tre giorni
Come detto, tre giorni (che è la durata di validità del biglietto, costo 40$) danno la possibilità di dedicare un giorno a entrambi i circuiti (parliamo di 6-7 ore di visita ala volta), con il secondo che parte tradizionalmente prima dell’alba, ad Angkor Wat. E il terzo giorno è utile, oltre che per completare la visita, per tornare nei luoghi che si sono amati di più, magari in orari in cui sono meno affollati. Anche per questo non descriverò gli itinerari nel dettaglio, ma scriverò dei siti principali.
Come visitare Angkor
Ad Angkor siamo rimasti tre giorni, che è il tempo consigliato generalmente per visitare con calma e con i giusti tempi il sito che è molto vasto. In realtà ne basterebbero due, ma tornare per qualche ora il terzo giorno ci ha permesso di rivedere alcuni posti con una luce diversa. E molta meno gente, come ci è successo al Bayon, il più commovente dei templi di Angkor.
Il margine del sito dista circa venti minuti di mezzo a motore dalla caotica Siem Reap. Angkor si può visitare sia con il classico tuk tuk asiatico (che in Cambogia non è il classico Apecar indiano, ma è composto da una moto e da un risciò al traino, agganciato) che in taxi o addirittura in bicicletta (se il caldo non è eccessivo), mezzo che consente maggiore libertà. Le guide che ho consultato spiegano che il prezzo di un tuk tuk sarebbe di 12$ al giorno, ma in realtà sembra variare fra 14 e 18$ (o non siamo stati bravi noi a contrattare).
I siti principali sono collegati da strade vere e proprie, percorse anche da pullman turistici.
⇒⇒ Se volete saperne di più sulla visita in bici, leggete il racconto di Claudia
I siti che mi hanno emozionato di più ad Angkor
Non ha senso scrivere una guida completa, servirebbero numerosi post e vi consiglio di utilizzare una guida ben fatta (io ho utilizzato Angkor, un mondo perduto nel tempo della Polaris) per orientarvi e approfondire la storia e le particolarità di questo posto incredibile. I guidatori di tuk tuk a volte offrono un po’ di informazioni, ma non sono sempre così attendibili.
Mi limito così a raccontare cinque posti che mi hanno emozionato particolarmente, anche per permettervi di farvi un’idea su cosa vi attende.
5. Neak Pean
Probabilmente è il luogo sacro più spettacolare del Grande circuito, anche se le foto non gli rendono giustizia di solito. Arrivare qui è la prima grande emozione che ho provato ad Angkor. Se visitate il Neak Pean in un periodo non troppo distante dalla stagione umida lo raggiungerete su di una passerella sopra una grande distesa d’acqua. E l’acqua c’è anche all’interno del recinto in pietra. Un tempo questa vasca di 70 metri serviva per riti curativi. Era una replica in miniatura, secondo le intenzioni, del mitico lago Anavatapta. Al centro c’è una base circolare, alla quale sono avvinghiati due Naga (Neak Pean significa appunto serpenti intrecciati) e sopa alla quale è posto un prasat, una torre.
4. Pre Rup
Il Pre Rup è un tempio montagna induista del decimo secolo in pietra e mattoni, dedicato al dio Shiva. Deve il nome, che significa ‘girare il corpo’, alla credenza, sbagliata, che fosse utilizzato per riti funebri. Ma ad emozionarmi non è stata la sua storia o la sua notevole imponenza. E’ stato il primo tempio di Angkor che ho visitato. Sono salito sulla terrazza più alta, a dodici metri. E il panorama sulla foresta, che è uno dei grandi spettacoli di Angkor, non lo dimenticherò mai.
La giungla è quasi imponente come i monasteri, le mura e i gruppi di templi: alberi alti, migliaia di sentieri ombrosi, freschi boschetti. Il fogliame è un tutt’uno con gli stupa di pietra e sembra crescere dal cuore dei luoghi sacri.
(Paul Theroux, Un treno fantasma verso la stella dell’Est)
3. Il Bayon
Questo tempio all’interno delle mura di Angkor Thom è uno dei più belli e complessi di tutto il sito. Un po’ caotico e meno imponente di altri, è caratterizzato da moltissimi, enormi ed enigmatici volti sorridenti scolpiti nella roccia che guardano i quattro punti cardinali dalle sue torri.
Angkor è pure un catalogo visivo di sorrisi incisi nell’arenaria. Il più enigmatico – a prima vista sereno, poi tendente quasi alla derisione in un’ambigua trasformazione – è il sorriso del grande Buddha nel tempio Bayon.
(Paul Theroux, Un treno fantasma verso la stella dell’Est)
Ne ho scritto più approfonditamente qui: il sorriso del Bayon al tramonto
2. Ta Prohm
Angkor stava lentamente tornando polvere, sommersa dalla foresta, quando venne riscoperta. Grandi lavori di restauro hanno via via ridato luce a templi meravigliosi. Spazzando però via l’Angkor che aveva raccontato Mouhot, quella dei templi sommersi dalla giungla. Così si scelse di mantenere un sito pressapoco com’era, e fu scelto il Ta Prohm. Se si riesce a dimenticare la folla (o a visitarlo presto o prima della chiusura), entrare nel Ta Prohm è come un viaggio nel tempo o, meglio, in un altro mondo. Ancora oggi questo tempio del tredicesimo secolo, realizzato nello stile del Bayon, è stritolato dalle radici di enormi alberi (kapok e fico strangolatore, soprattutto) che si sono aperte dei varchi nei suoi muri, rigonfi, spaccati. Alcuni restano evidentemente in piedi solo grazie alle radici che li avvinghiano. Ormai tempio e alberi sono tutt’uno.
Gli alberi con le loro tentacolari e mostruose radici appaiono talora come Shiva il distruttore, facendo crollare la volta delle gallerie (…) spaccando i muri più spessi, talvolta invece sono Vishnu che (…) stringe in un abbraccio salvifico le pareti che stanno cadendo
(Claudio Bussolino, da Angkor, un mondo perso nel tempo)
Angkor Wat
L”arrivo è impressionante con una larga terrazza affiancata da due Naga, mitici serpenti divini (che ad Angkor compaiono ovunque), e le grandi torri che incombono. E’ tutto enorme, fuori scala. E non si può non pensare alle infinite mani, all’infinita fatica e sofferenza servite per costruire questo edificio attraverso decenni. Tutto perduto nel tempo, resta solo la pietra a evocarlo.
Questo straordinario tempio del XII secolo, la cui funzione esatta non è completamente chiara (tempio? mausoleo?) non è però solo imponente, ma è anche un monumento incredibilmente vitale. I muri prendono vita con le infinite rappresentazioni di danzatrici apsara e, nella galleria dei bassorilievi che corre lungo il perimetro, di miti ed episodi del Mahabharata e del Ramayana, ritratti con un’eccezionale forza.
Anche se in origine era un tempio induista, la sacralità del luogo è sempre stata rispettata ed è stato custodito per secoli da monaci buddisti. Ancora oggi fra i visitatori si incontrano i monaci che meditano e pregano davanti a immagini del Buddha. E capita di vedere anche gente del posto portare fiori e altre offerte.
Per continuare a leggere su Angkor e Cambogia
- I miei post sulla Cambogia
- Tre giorni ad Angkor (da Persorsi)
- Angkor su Wikipedia
1 Commenti
Grazie davvero Patrick per aver inserito il link di approfondimento al mio articolo! :)
Il giro tra i templi in bici è tra le mie “bicicletatte” migliori di sempre