A Delfi, l’antico ombelico del mondo

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Il mio ritorno, dopo molti anni, al santuario di Delfi. Piccola guida alla visita del sito archeologico e del museo

Nelle vetrine dei negozi di souvenir sono allineati finti elmi da oplita col cimiero, repliche di famosi vasi in terracotta a figure rosse o nere o addirittura del periodo geometrico e di maschere d’oro di Agamennone. E poi le immancabili magliette del genere “Questa è Sparta!”. Ma siamo in realtà a Delfi, l’antico ombelico del mondo e centro spirituale (e di rilevanza anche politica) del mondo greco. La cittadina sorta poco a valle del grande sito archeologico è decisamente brutta e senz’anima con le sue due anguste stradine a senso unico perennemente intasate di pullman che scaricano comitive di turisti negli alberghi allineati uno accanto all’altro. Ma anche se sgraziato, scomodo e con vetrine e scaffali stracolmi di ciarpame, l’abitato di Delfi ha una sua sgangherata simpatia. E l’immancabile, calorosa accoglienza greca.

Peccato solo che dopo un’emozionante ascesa fra le pareti rocciose del Parnaso, trascorsa immaginando i percorsi degli antichi ci si ritrovi qui a rimirare una statua dell’auriga in scala 2:1 esposta da chissà quanto dietro a un vetro. Perché l’antica Delfi è un luogo davvero di intensa bellezza e allo stesso tempo di una potenza, quella della natura, quasi inquietante.

Il viaggiatore che giunge a Delfi si trova in uno scenario naturale di grande suggestione: l’occhio spazia lungo un pendio cosparso di vegetazione mediterranea che scivola dalle cime delle rupi Fedriadi fino all’azzurro del golfo di Corinto. Il gruppo del Parnaso, la cui cima più alta raggiunge i 2500 metri, domina il luogo sul versante di nors-est. Ben si comprende, arrivando qui, il senso delle parole dell’archeologo greco Karouzos: “A Delfi la terra appare come scossa da uno spasmo cosmico”.
(da Donatella Puliga e Silvia Panichi “In Grecia”, Einaudi)

Breve storia dell’Oracolo di Delfi

Io sono già stato qui, avevo 16 anni ed ero in gita con la mia classe del liceo. E mentre di quel viaggio in Grecia ho nitidi ricordi del Partenone, di Olimpia e soprattutto di Micene, di Delfi non ho quasi memoria. Solo una sequenza di qualche secondo, del pullman che imbocca una svolta per Delfi, poi qualche fotogramma sparso e il buio. Chissà perché, penso mentre salgo lungo la via Sacra fra le rovine di quelli che un tempo erano i tesori delle varie città del mondo greco: tributi all’Oracolo, celebrazioni e ostentazioni delle vittorie.
Uno dei meglio conservati, e in parte ricostruito, è proprio il Tesoro dei Sifni, costruito dagli abitanti dell’isola in cui mi trovavo fino a pochi giorni fa (Sifnos): il fregio e la sfinge che scrutava i pellegrini dall’alto di una colonna sono conservati nel museo. Fu realizzato intorno al 525 a.c. con marmo dell’isola di Paros, utilizzando i ricchi proventi delle miniere d’oro dell’isola.

Il tesoro dei Sifni , a Delfi
Il tesoro dei Sifni (foto di Patrick Colgan, 2017)

Il sito nel quale mi trovo è antichissimo, probabilmente sacro fin dal quindicesimo secolo prima di Cristo e poi in età Micenea. Almeno dall’ottavo secolo avanti cristo fu dedicato al culto della terra Gea e del serpente Pitone (e il luogo si chiamava Pithò). E sembra inevitabile che in un luogo così impressionante attirasse attenzione, suscitasse devozione (e, mi viene da pensare, paura): è evidente che l’uomo ha sempre percepito il divino nella natura, sua immediata manifestazione. E qui la natura è potente ed è facile avvertire l’opera di una forza superiore.

Memoria dell’evoluzione nella religiosità di Delfi sarebbe il mito della vittoria di Apollo sul serpente Pitone, che probabilmente adombra la sostituzione del culto precedente.

Delfi, e questa è un’altra particolarità, era un sito panelennico, nel senso che era comune a tutte le città del mondo Greco (spesso in guerra fra loro). Era ritenuto il centro del mondo.

La tradizione vuole che Zeus avesse indicato il luogo di fondazione del santuario nel punto in cui due aquile, fatte volare da lui, fossero atterrate insieme. Questo punto identificava Delfi come il centro del mondo (Wikipedia)

Fulcro della spiritualità del luogo era il tempio di Apollo sul quale campeggiava l’enigmatica lettera epsilon “E”, e il motto poi utilizzato da Socrate “Conosci te stesso” (νῶθι σεαυτόν, gnōthi seautón). Il santuario di Delfi ruotava intorno all’Omphalos, l’ombelico del mondo (una pietra della quale è conservata una copia nel museo) e soprattutto l’Oracolo, che forniva responsi enigmatici e che potevano essere letti in più modi. La sacerdotessa, la Pizia, cadeva in trance e condensava in una frase la sua risposta a chi era giunto per consultarla. Celebre quella fornita a Creso, re di Lidia, che nel 547 a.c. come tradizione prima di muovere guerra ai Persiani interrogò l’oracolo. Questi rispose “se Creso attraverserà il fiume Halys cadrà un grande impero”. Ovviamente a cadere fu il suo.

Il prestigio dell’oracolo sopravvisse alle distruzioni di incendi e terremoti. E durò per secoli, prima di andare in declino. La chiusura avvenne nel 394 d.c. per disposizione dell’imperatore romano Teodosio.

Una ricostruzione dell'antica Delphi disegnata dall'architetto francese Albert Tournaire
Una ricostruzione dell’antica Delphi disegnata dall’architetto francese Albert Tournaire (immagine di pubblico dominio)
Visita a Delfi: il tempio di Apollo
Visita a Delfi: il tempio di Apollo (foto di Patrick Colgan, 2017)

Visita al sito archeologico di Delfi

Il caldo (è l’inizio di agosto) è molto intenso, anche se siamo a quasi 600 metri di altitudine, l’ombra è poca e il sentiero che si snoda fra le rovine è tutto in salita, con qualche punto ombreggiato per rifiatare e nel quale si accalcano i gruppi con guide. Il contesto naturale è davvero spettacolare, ma degli edifici, dei templi delle statue di visibile resta ben poco (ed è stato quasi tutto portato nel meraviglioso museo).

Come spesso accade, in Grecia, i resti non sono ben conservati (molto meglio i templi di Paestum, o quelli di Agrigento, che però non ho visto), caduti vittime di guerre, dominazioni straniere, incuria, e oblio che si sono succeduti nei secoli. E così servono immaginazione e un po’ di trasporto romantico per emozionarsi davanti a povere pietre martoriate, come quelle che delimitano l’antico tempio di Apollo: restano solo poche colonne, sei, e un perimetro in pietra che risalgono al tempio dorico ricostruito dopo il terremoto del 273 a.c..
Forse è per questo che mi ricordo così poco della mia prima visita. La natura ancora stentava a coinvolgermi. E non c’era molto altro che potessi ricordare di aver visto.

Questa visita, invece, la ricorderò a lungo. Ne sono sicuro.

L'antica Delfi
L’antica Delfi (foto di Patrick Colgan, 2017)
Il teatro di Delfi
Il teatro di Delfi (foto di Patrick Colgan, 2017)

Se le forze vi sorreggono arrivate fino allo Stadio, che domina tutto il sito dall’alto e che ospitava i Giochi Pitici. Un tempo si poteva entrare anche sul terreno, mentre ora è recintato. Non è un luogo di particolare bellezza (anche se le gradinate, di epoca romana, sono ben conservate), ma è di grande importanza. E questo apparirà chiaro in seguito.

A est del sito principale si trovano quello che resta dell’antica fonte Castalia, dove i pellegrini si purificavano e del tempio circolare (a tholos) di Atena Prònaia.

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Visita al museo archeologico di Delfi

Provo a darvi un consiglio. Me ne sono accorto mentre ero fra le rovine, ma il museo sarebbe stato da visitare prima, per poter poi immaginare le statue, i fregi e gli altri oggetti nel loro contesto originario. Forse è proprio questo che rese speciale la mia visita a Micene di qualche anno fa, fatta il giorno dopo aver visto il museo archeologico di Atene.

Il museo di Delfi è di grande ricchezza e bellezza e contiene reperti straordinari, fra i quali un tripode (usato dalla Pizia e simbolo stesso di Delfi). E poi ci sono rarissimi elementi di statue crisoelefantine (in oro e avorio), statue e i bellissimi fregi del tesoro dei Sifni (gli abitanti dell’isola di Sifnos) che merita qualche parola in più.

Fregio del Tesoro dei sifni
Fregio del Tesoro dei sifni (foto di Ricardo Andrè Franz, da Wikipedia – licenza creative commons)

Il fregio è particolarmente interessante per due motivi. Il primo è che ne sono conservati ampi frammenti, realizzati da due differenti artisti. Il secondo è quello che racconta: la lotta fra gli Dei Olimpi e i Giganti e, forse, scene dell’Iliade.

Ma perché i Sifni scelsero questo programma iconografico? Forse (…) vollero esprimere un contenuto adatto alla grande autorità morale che il santuario di Delfi esercitava su tutta la Grecia, come garante del diritto e della civiltà. (…). (da Donatella Puliga e Silvia Panichi “In Grecia”, Einaudi)

Nel frontone est si vede Eracle che addirittura tenta, in un attacco di follia, di rubare addirittura il tripode di Delfi, bloccato da Apollo. E’ un particolare interessante anche per capire il ruolo e l’autorità del santuario.

Un tema che accomuna i quattro lati del fregio è, dunque, quello della sconfitta, ad opera di un’autorità costituita, di chi ha preteso illegittimamente dei beni altrui: il ritratto di Elena ha comportato la rovina di Troia; i Giganti hanno pagato con il loro annientamento il tentativo di rovesciare la potestà degli dèi olimpi; il tripode, simbolo delfico, rimane nelle mani del suo legittimo possessore.
(da Donatella Puliga e Silvia Panichi “In Grecia”, Einaudi)

Nell’ultima sala c’è, infine, uno dei pezzi più straordinari del museo, l’Auriga di Delfi. Il suo intenso sguardo, sicuro e orgoglioso, ha attraversato il tempo: rappresenta infatti un’atleta vincitore di una gara ai giochi Pitici, proprio nello Stadio in cui si conclude la visita al sito archeologico. È uno dei pochissimi esempi rimasti di statue in bronzo greche rimaste intatte. Si è salvato perché fu sepolto da una frana e dimenticato per millenni.

Fra le altre statue in bronzo sopravvissute dell’arte greca ci sono i ‘nostri’ Bronzi di Riace (conservati a Reggio Calabria). E un’affascinante ipotesi, mai provata, vuole che almeno una delle statue provenisse proprio da Delfi dove, forse, era esposto sulla Via Sacra proprio accanto all’Auriga.

 L'auriga di Delfi
L’auriga di Delfi

(foto da Wikipedia, di RaminusFalcon – licenza creative commons)

Delfi, informazioni utili

Il sito archeologico  è raggiungibile a piedi in dieci minuti dall’abitato di Delfi. In alta stagione è aperto in teoria tutti i giorni dalle 8 alle 20 (ultimo ingresso 19.40), eccetto il lunedì quando chiude alle 17. Secondo alcuni siti  e guide in bassa stagione fa orario ridotto (9-15 o 9-16) ma non ho avuto modo di verificarlo. Questa la teoria, ma per mia esperienza gli orari in Grecia sono sempre da verificare. L’ingresso a sito e museo costa 12 euro.
Resta chiuso, in base alle informazioni che ho raccolto, 25 marzo, 1 maggio, Pasqua (ortodossa), 25 e 26 dicembre. Calcolate almeno 4-5 ore per una visita completa al sito e al museo (che non è grande e ben organizzato) senza dover correre.

Vi consiglio di iniziare la visita a Delfi la mattina presto. L’ideale sarebbe, come ho scritto, cominciare dal museo, ma in estate è meglio cominciare dal sito archeologico prima che le temperature diventino troppo elevate. Se visitate il sito nei mesi caldi portate ovviamente un cappello e un’ampia scorta di acqua.

Dove alloggiare, dove cenare a Delfi

A Delfi gli alberghi sono piuttosto economici e si possono trovare sistemazioni con colazione per 30-35 euro (noi abbiamo alloggiato all’hotel Parnassos, decoroso e con personale simpatico).

Per la cena vale la pena prenotare un tavolo con vista sulla vallata: molti ristoranti hanno belle terrazze che però si riempiono prestissimo .
Noi ci siamo trovati benissimo, quanto ad accoglienza e cibo alla taverna To Patriko Mas (provate anche i cocktail, eccezionali). I prezzi sono giusti e ha una terrazza spettacolare che domina la valle e nel quale lo sguardo scende fino al blu del golfo di Corinto. Lo consiglio, ma probabilmente il livello è simile in altri ristoranti.

Il panorama dal ristorante al tramonto.

Come arrivare a Delfi

Atene è collegata a Delfi con un bus che impiega all’incirca tre ore (e costa circa 13 euro).

Se invece avete un’auto, da Atene ci metterete circa due ore e mezza (percorrendo un’autostrada che prevede pedaggi, il totale per un’auto – ma devo andare a memoria – è di circa 5 euro), sfiorando Tebe e Livadia. L’ultimo tratto è particolarmente spettacolare fra boschi e altissime montagne. Arrivando a Delfi da Atene si può fare una deviazione al bellissimo monastero bizantino di Ossios Loukas e ci si può fermare nella graziosa cittadina di montagna di Arachova (che merita una sosta).

Una mezz’ora a sud di Delfi c’è anche la graziosa località balneare di Galaxidi.

Viaggio a Delfi: una fermata ad Arachova
Viaggio a Delfi: una fermata ad Arachova (foto di Patrick Colgan, 2017)
Il monastero di Ossios Loukas, piccola deviazione durante il viaggio a Delf
Il monastero di Ossios Loukas, piccola deviazione durante il viaggio a Delfi (foto di Patrick Colgan, 2017)

Arrivare a Delfi dal Peloponneso

A Delfi si può però arrivare anche dal Peloponneso, passando sul ponte che collega Rio e Antirrio, nei pressi di Patrasso.

Il pedaggio è costoso (14 euro per le auto). Per chi preferisce la lentezza c’è il traghetto che continua a fare la spola fra le due rive del golfo di Corinto.

Da Olimpia in auto ci vogliono circa tre ore e un quarto.

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