Racconto d’Islanda – “Tutta la solitudine che meritate”

di

Un libro sull’islanda. Un libro di viaggio ‘ibrido’ che sfugge le definizioni. Ma molto bello, a partire dal titolo

Tutta la solitudine che meritate, di Claudio Giunta e Giovanna Silva

(…) e vi ricorderete di quando da bambini, sul sedile posteriore dell’auto di famiglia, non volevate arrivare mai: vi ricorderete che il semplice andare dal luogo A al luogo B può essere un fine in sé, non un mezzo, se l’ambiente che attraversate asseconda il movimento. L’Islanda lo asseconda.

Nell’immagine che ho dell’Islanda mi ha sempre attratto l’idea della scarsità, perché l’idea della scarsità contiene l’idea della virtù, e l’idea della virtù contiene l’idea di una vita retta e felice.

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L’Islanda è un Paese davvero indimenticabile per cui provo una costante nostalgia. Il titolo di questo libro, bellissimo, e il Paese che racconta mi hanno attirato inesorabilmente. Senza contare che l’edizione è splendida, in libreria mi ero messo ad accarezzarne la copertina, la grana della carta, come si fa con un peluche.

E poi avevo avuto l’onore di finire col mio ebook  in un post di No Borders Magazine (che purtroppo non esiste più, ma che ho recuperato nel sito Wayback machine) proprio assieme a questo libro. Poi l’ho letto ed è stato un bellissimo viaggio. Claudio Giunta, per chi non lo conoscesse, è uno storico della lingua italiana, esperto di poesia medievale, ma anche saggista e scrittore, al secondo libro di viaggio dopo ‘Il Paese più stupido del mondo’, a cavallo fra Italia e Giappone. E’ un osservatore acuto, sensibile e colto. E che scrive benissimo.

Il racconto di Giunta è ibrido. Certamente è un racconto di viaggio che propone però incroci, biforcazioni, sovrapposizioni con altri piani, si intreccia con l’attualità. C’è una parte dedicata alla letteratura che è decisamente saggistica. C’è una parte che è una guida vera e propria, dove Giunta consiglia come il periodo in cui andare, i negozi dove fare acquisti, a volte ci sono anche consigli spiccioli, del tipo “portatevi i tappi per le orecchie”, cose così.

L’autore la definisce una guida per il turista intellettuale e forse è azzeccata.

E Giunta ha una voce che ho sentito vicina anche se parte da un viaggio diverso da quello che ho fatto, da quello che farei se dovessi tornare. Racconta un’Islanda molto diversa dalla mia (che ho scoperto principalmente a piedi, sui sentieri), quella di un viaggio in automobile che attraversa piccoli paesi e incontra persone che hanno scelto di vivere isolate: scorre lungo la ring road, l’unica strada asfaltata che corre intorno all’isola, e guarda al paesaggio islandese da quella che sembra aver identificato come una giusta distanza, con meraviglia e timore. Giunta è affascinato dalla natura, e soprattutto, come me, dalla luce struggente dell’Islanda, ma gli sembra interessare in particolare la peculiare condizione di solitudine che vi si può provare. La trova nei paesi, nelle rovine, nelle opere di arte contemporanea in mezzo al nulla.

Completano il libro un’intervista non troppo interessante all’artista Roman Signer e le foto di Giovanna Silva che sono molto belle, ma dove è chiaro l’intento di spogliare la natura islandese della sua potenza, della sua bellezza travolgente. Non era facile, è un punto di vista originale.

In ogni modo leggendo questo libro mi è venuta una gran voglia di tornarci, in Islanda

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2 Commenti

Roberta - Turisti per Sbaglio Ottobre 15, 2015 - 11:09 am

Insomma dei 3 (malgrado i titoli e copertine accattivanti degli altri 2) mi appunterò solo il terzo. In un momento in cui ci esaltiamo tutti a parlare del Viaggio come medicina, come break dal quotidiano, come rimedio alla chiusura mentale…. mi stimola l’idea di leggere una voce fuori dal coro. Non fosse altro che per contraddirla (in parte). Però è vero non basta viaggiare, dipende tutto da cosa ti porti in viaggio ed ovviamente non mi riferisco alla valigia ;)

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patrickcolgan Ottobre 15, 2015 - 11:43 am

Anche il primo è un bel libro (e un bellissimo oggetto, design splendido, se segui il link alla casa editrice te ne fai un’idea).
Per quanto riguarda il 3) è quello che mi aveva spinto a leggerlo e il motivo per cui sono contento di averlo fatto. Ci sono cose che diamo per scontate (perché ci piace un paesaggio? cosa cerchiamo in un Paese esotico?) che meritano forse di essere, come dire, smontate e approfondite un po’. E il libro fornisce degli ottimi spunti, anche se a volte è un po’ debole e le risposte non sempre soddisfacenti. La conclusione poi – non ti anticipo nulla – l’ho trovata estremamente banale e già sentita (ma il libro è del 2002, magari allora era meno banale?).

ciao a presto!

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