Viaggio in un remoto angolo del Giappone tropicale, le isole Yaeyama (seconda parte). Oggi vi porto alla scoperta della piccola, meravigliosa, isola di Taletomi
I posti più belli, alle volte, si incontrano quasi per caso. A volte ci si finisce per necessità, altre perché una frase o una foto ci hanno piantato un’idea da qualche parte in testa e una parte di noi vuole andare vedere com’è davvero quel punto su una cartina anche se non sappiamo davvero perché. Altre ancora perché da altre parti non c’è posto. A Taketomi, minuscola isola di circa tre chilometri di diametro in un angolo di Giappone accanto a Taiwan, siamo finiti un po’ per tutti questi motivi. E scesi dal traghetto più assurdamente veloce su cui fossi mai salito (dieci minuti di viaggio dal porto di Ishigaki), ci siamo trovati di colpo in un altro mondo.


Qui c’è una sola strada asfaltata che gira intorno all’isola. All’interno solo strade bianche che corrono fra campi, pascoli, orti e casette in stile tradizionale delimitate da muri in pietra a secco. Dai giardini si riversano in strada fiori colorati, palme, banani e altre piante tropicali. Ci si sposta a piedi o in bici, mentre gruppi di turisti vengono accompagnati col tradizionale carretto trainato da un bufalo. Sono i colori a riempire i nostri occhi: il fucsia, il giallo, il bianco delle strade, i tetti arancioni e rossastri, sbiancati dal sole, le mille sfumature del rigoglioso verde tropicale illuminate da un sole abbagliante. Tutto brilla.
In mezzo alla vegetazione, sui muretti, sui tetti spuntano gli occhi spiritati e le strane espressioni degli shiisa, i guardiani delle case di Okinawa che sembrano fissarci e abbaiare silenziosi e un po’ beffardi a questi stranieri pallidi e sudati. Gli shiisa sono un incrocio fra un leone e un cane e spesso sono in coppia: uno con la bocca aperta, per scacciare gli spiriti cattivi, e uno con la bocca chiusa (la femmina, secondo alcuni) per trattenere gli spiriti buoni.


(foto di Patrick Colgan, 2014)

Appoggiamo gli zaini nella graziosa, rustica, pensione che ci ospita (minshuku Kohamasou) e andiamo sui pedali alla scoperta dell’isola che nonostante sia piccolissima è tutt’altro che disabitata. Qui vivono trecento persone, ci sono una scuola (con un altissimo rapporto fra insegnanti e studenti, uno a uno se non sbaglio), un centro medico e oltre al turismo qui sono ancora vivi l’artigianato – fra i prodotti c’è il minsa, pregiato tessuto fatto a mano -, l’allevamento e la coltivazione della canna da zucchero. Al centro del villaggio c’è una piccola, bassa torre in cemento (Nagomi no to).
Salendo gli angusti, ripidi gradini si scopre l’isola dall’alto: sembra come un tappeto verde punteggiato di tetti rossi. Lontano, un orlo azzurro che spunta fra gli alberi, il mare. E poco importa se il panorama, come riportano alcuni, non è poi così antico perché gran parte delle case hanno al massimo cent’anni. Qui il tempo non ha più importanza.

Le spiagge
Basta pedalare pochi minuti e ci si lascia le case alle spalle e si finisce fra prati e bufali sonnolenti che riposano in mezzo al verde. Per un momento mi confondo, mi sembra detti essere di nuovo a Cuba, a Viñales, sulla stessa linea del tropico, ma a 1omila chilometri di distanza. Come se lungo questa riga immaginaria fosse compresso un mondo, in una stretta striscia di caldo e umidità. Incrociamo la strada in asfalto. Da qui ci si infila nella vegetazione e in un attimo si è sulla spiaggia. E’ strettissima e l’acqua è bassa, forse a causa della marea. Ma non sembra interessare un gruppo di turisti asiatici interamente vestiti nonostante il caldo che vaga con gli occhi bassi, setacciando la sabbia.
Siamo a Kaiji-hama, un punto famoso per la ‘sabbia a stella‘, formata dai gusci di minuscoli organisimi marini. Proviamo a cercare, senza fortuna e senza insistere troppo a lungo, solo per vederla: la sabbia a stella è più bella qui, in riva al mare. E si rischia di distruggere una meraviglia della natura. Fra l’altro la sabbia non l’ho mai portata a casa da alcun viaggio. In ogni modo alcuni negozi di souvenir ne regalano a volte un piccolo sacchetto con gli acquisti, come omaggio. Un’iniziativa comunque da non incentivare (e che spero che non sia più praticata, essendo passato qualche anno).
Ci dirigiamo a Kondoi beach, la spiaggia più bella. E’ una distesa di sabbia bianca, lambita da acqua di un turchese intenso. Ma è troppo bassa per nuotare. Mi allontano dalla costa, ma l’acqua – fredda in questa stagione – resta sempre a metà gamba. Forse è colpa della marea, che in questo periodo (siamo a inizio aprile) tende a scendere rapidamente mentre ci si avvicina al pomeriggio. Ma questo panorama è splendido.
E’ bellissimo anche solo essere qui, davanti a questi colori che non smettono di stupirmi. Qui le tonalità sembrano tutte esagerate, come in alcune foto ipersature: i fiori, il mare, anche un semplice bicchiere di succo di mango sembrano illuminarsi dall’interno quando vengono colpiti dai raggi del sole.

(foto di Patrick Colgan, 2014)

La sera a Taketomi

La sera a Taketomi se ne vanno quasi tutti con l’ultimo traghetto e l’isola torna silenziosa, sonnolenta. Cala il buio e si accende una volta di stelle. E’ aprile, è ancora bassa stagione, e c’è solo un izakaya in mezzo all’isola dove si ritrovano tutti. Giapponesi, americani, italiani. Si parla della vita in Giappone, di trasferirsi qui, c’è chi racconta degli avvertimenti ricevuti sulla presenza di spiriti sulla vicina, selvaggia, isola di Iriomote.
L’awamori, il forte sake locale, scorre velocemente, assieme a orecchie di maiale e gyoza, ravioli al vapore. La cucina di Okinawa ha poco a vedere con quella del Giappone ed è fortemente influenzata da Taiwan e Cina. Complice l’alcol, ci facciamo portare una bottiglia di Habushu da 20.000 yen (150 euro) solo per potere guardare questo distillato giallognolo nel quale riposa un serpente. Facciamo delle foto sotto lo sguardo inquieto della cameriera che si rilassa solo quando le restituiamo la preziosa bottiglia. Io continuo a bere: pagherò duramente l’alcol il giorno successivo. Ma non mi importa. Mentre torniamo nel buio verso il nostro tatami penso che sono in mezzo all’oceano e sopra di me c’è un’immensa volta di stelle. Ora non desidero altro.

Come arrivare a Taketomi, come spostarsi
Taketomi è ottimamente servita da traghetti veloci (molto) fra le 7,30 e le 17,30 che la collegano ogni mezz’ora con Ishigaki in circa dieci minuti. Il costo è di 580 yen (1.100 andata e ritorno).
Arrivati al porto, se non ci si è accordati con la propria pensione per il trasporto, si può partire direttamente con il tour sul carretto trainato dal bufalo, un must di Ishigaki. In genere c’è un minibus con il cartello – solo in giapponese – 水牛車 (sugyuusha, water buffalo cart in inglese) che porta direttamente e gratuitamente dal molo al punto di partenza del tour.
Il carretto è un buon punto di partenza per fare conoscenza dell’isola anche se la guida, che racconta leggende e aneddoti, a volte intonando una vecchia canzone, parla solo giapponese. La durata è mezz’ora per 1.200 yen.
Sempre dal punto di partenza dei carretti chi non pernotta sull’isola può noleggiare una bicicletta, mentre chi ha una pensione troverà più conveniente rivolgersi al suo albergatore. Il prezzo è sui 1.500 yen al giorno (24 ore). Ci sono numerosi alloggi sull’isola. Il prezzo medio è sui 5.500-6.000 yen per pernottamento, colazione e cena. Kohamasou, dove abbiamo alloggiato, è certamente consigliabile.
Sull’isola ci sono numerosi negozi di souvenir, bar e ristoranti, la maggior parte dei quali aperti durante il giorno. Il vostro albergatore ti fornirà probabilmente una mappa.
L’isola, che è di fatto un atollo corallino, è anche in teoria ottima per lo snorkeling, ma non ci sono – che io sappia – diving center.
Dove alloggiare a Taketomi
Sull’isola ci sono diversi minshuku (il nostro, ripeto, si chiamava Kohamasou), vale a dire locande a conduzione famigliare (qui trovate qualche info in più sui tipi di alloggio in Giappone). Ci sono anche un ostello e un resort abbastanza ben integrato – è in architettura tradizionale – ma costosissimo. Alloggiare sull’isola è consigliato perché ripartiti gli ultimi turisti di giornata l’isola diventa ancor più magica.


(foto di Patrick Colgan, 2014)
Taketomi-jima: link utili
- Isole Yaeyama su Giappone per tutti
- Wikitravel – Taketomi (in inglese)
- Una cena a Taketomi (da Persorsi)
Post precedente: I mille volti di Ishigaki
Questo post ti è piaciuto o è stato utile? Puoi lasciare un commento o un ‘mi piace’ alla pagina Facebook del blog! (usa il pulsante a pié pagina)
13 Commenti
Molto interessante e utile il tuo post, siamo a Ishigaki e domani mattina andremo a Taketomi, seguiremo alcuni tuoi consigli. Marco & Rika
Incredibile!
Gli shiisa mi ricordano molto le casette degli spiriti che ho incontrato ovunque in Thailandia. Ma gli shiisa sono più divertenti!
Che dire… sempre un piacere leggerti.
E splendide foto!
Grazie!!!
Gli shiisa sono divertentissimi, tanto che ne ho presi un paio da mettere in balcone :D
Grazie!!!
CHE FOTO STUPENDEE http://gomypass.com/
I tuoi post sono sempre meravigliosamente dettagliati.
grazie!!
Che spettacolo…