Due milioni di abitanti, una marca di birra famosa e una delle attrazioni più deludenti del Giappone. Un giorno e mezzo a Sapporo, nel nord del Giappone
— Sei sicuro che siamo nella città giusta? — mi chiese lei.
Alzai gli occhi a guardare il cielo. La stella polare era al suo posto. Però non sembrava autentica. Era troppo grande, troppo brillante.
— Mah, chi lo sa…
— Ho l’impressione che ci sia uno sfasamento , da qualche parte.
— Fa sempre questo effetto, trovarsi per la prima volta in una città. Il corpo non si è ancora assuefatto.
— Poi ci si abitua?
— Sì ci vorranno forse due o tre giorni, dissi.
(Haruki Murakami, Nel segno della pecora)

L’Hokkaido
Decisi di andare in Hokkaido in treno. Non era mica come ora, che c’è la linea Shinkansen, con il treno proiettile che in quattro ore ti porta sulla grande isola del nord del Giappone. Era un viaggio impegnativo, non bastava un giorno, con vari cambi e un tunnel sottomarino da percorrere. Volevo fare il viaggio via terra anche se in aereo sarebbe stato molto più comodo e veloce. Però non vedevo l’ora di arrivare. Ne avevo abbastanza del caldo di Tokyo a luglio e speravo di trovare temperature più miti.
Ero tornato in Giappone dopo pochi mesi dal primo viaggio e stentavo a riconoscere il Paese di cui avevo tanta nostalgia. Forse ero solo diffidente dopo l’innamoramento del primo viaggio, volevo capire se c’era una fregatura dietro tanta bellezza. Oppure ero solo triste.
Nel mezzo, fra i due viaggi, c’erano stati del resto il tragico terremoto e lo tsunami del marzo 2011, il disastro nucleare. Sapevo che la centrale era distante, ma vedere comparire il cartello della stazione di Fukushima nella brevissima fermata alla stazione mi aveva dato i brividi. Tutte le immagini che avevo visto in televisione, tutta quella sofferenza erano avvenute poco distante. Era il luglio 2011, erano passati solo quattro mesi.
Da Shin-Aomori, all’estremo nord dello Honshu, l’isola sulla quale si trovano Tokyo e Kyoto, per arrivare in Hokkaido si prendeva un espresso che scendeva in un tunnel sottomarino. Sembra una cosa emozionante detta così, ma alla fine è una galleria come un’altra. A stento ti accorgi di scendere. Ero rimasto un giorno ad Hakodate, la prima città importante sulla strada, e poi ero ripartito per Sapporo.

Odori park, nel centro di Sapporo, cuore del festival della neve (foto di Shirokazan, da Wikimedia – licenza creative commons)
Cosa fare a Sapporo: partiamo da Ramen yokocho
Sapporo è una grande città di quasi due milioni di abitanti, circondata da basse montagne. E’ una distesa di palazzi anonima, informe, tagliata al suo centro dal parco Odori, stretto al centro di due viali. E’ un parco davvero strano, non ti dimentichi praticamente mai di essere in mezzo al traffico.
Sapporo è famosa per le Olimpiadi invernali del 1972, per l’omonima birra, e per il festival della neve di febbraio (Yuki matsuri). Ma a luglio non c’era naturalmente la neve, né tantomeno la frescura che invece speravo di trovare: era tremendamente caldo, afoso, proprio come a Tokyo. E mentre camminavo per le vie della città cominciavo a intuire perché Haruki Murakami sembrasse avere una strana fascinazione per questa città: i larghi viali e i grattacieli amplificavano il mio senso di solitudine. Fortunatamente non alloggiavo all’inquietante hotel del Delfino ma in un piacevole ryokan in centro (Nakamuraya).
In più era domenica e anche Ramen yokocho era deserto: il famoso vicolo ai margini dell’animato quartiere a luci rosse di Susukino, pieno di ristorantini specializzati in noodles era una sequenza di serrande abbassate. Nacque quando vennero proibiti i carretti dei venditori di strada in occasione delle Olimpiadi (si pensava fossero brutti, purtroppo) e diventarono stanziali qui. Quando finalmente trovai l’unico posto aperto ordinai il misoramen più grande che avevano.
Sapporo non mi aveva forse accolto al suo meglio, ma si era fatta subito perdonare.
⇒⇒ Sul ramen forse vi può interessare questo post: I migliori ramen di Tokyo (per me)

L’insegna di Ramen Yokocho, a Sapporo (foto di Patrick Colgan, 2011)

Ramen Yokocho, a Sapporo (foto di Patrick Colgan, 2011)

Susukino, Sapporo (foto da Wikimedia commons, public domain)

Misoramen a Sapporo (foto di Miki Yoshihito, da Flickr – licenza creative commons attribution)
La Torre dell’orologio
Sarei voluto andare a vedere il trampolino del salto degli sci, che è una fra le poche memorie rimaste delle Olimpiadi del 1972. Ma alla fine il tempo era poco e scelsi di restare in città, cominciando dal monumento più iconico e più bistrattato, la Torre dell’orologio, a pochi minuti dalla stazione. Chiamarla torre è un po’ troppo: è una casetta. L’orologio arriva da Boston e nel 1881 venne installato sull’edificio, proprietà dell’università dell’Hokkaido, in stile decisamente americano.
Questo orologio è stato votato come una delle attrazioni più deludenti dell’intero Giappone e la gente vi si mette in posa davanti con un po’ di ironia. Ma io trovai l’edificio curioso, se non proprio emozionante. Sembrava un pezzetto di Far west spuntato per qualche motivo fra i grattacieli. Era una casa nella prateria. Senza la prateria.
Come arrivare
La Torre dell’orologio è a cinque minuti dalla stazione. Contiene un museo, ma in genere ci si limita a fare una foto all’esterno. Se ne volete ancora c’è un museo all’aria aperta che raccoglie 60 edifici da tutto l’Hokkaido: Historic village of Hokkaido.

Cosa fare a Sapporo? Una foto alla torre dell’orologio (foto di Patrick Colgan, 2011)

Torre dell’orologio, Sapporo (foto di Patrick Colgan, 2011)
Il giardino botanico di Sapporo

Giardino botanico di Sapporo (foto di Patrick Colgan, 2011)
Non so perché finii al giardino botanico dell’università, che era però davvero molto bello. C’erano piante e fiori di ogni tipo, anche molto strani, e ricostruzioni di ambienti naturali di tutto il Giappone. Forse la cosa che più mi interessava era il piccolo museo dedicato agli Ainu, la popolazione originaria dell’Hokkaido che subì l’invasione giapponese dal 1600 in poi. E’ sorprendentemente l’unico museo sul tema che si trova nel capoluogo. E’ piccolissimo, ma toccante. Espone oggetti di uso quotidiano, abiti, che parlano di una cultura antichissima, abituata a convivere con climi freddissimi e completamente diversa da quella giapponese. E oggi quasi scomparsa, anche se c’è chi la mantiene in vita.
I numeri parlano di 200.000 discendenti degli ainu, ma completamente mescolati alla popolazione di origine giapponese (stando a Wikipedia molti non sono nemmeno a conoscenza delle loro origini).
Per vedere qualcosa di più esaustivo bisogna uscire dalla città per raggiungere l’Ainu cultural centre oppure, ancora meglio, andare a Noboribetsu per lo Shiraoi Ainu Museum, il più completo del Paese (un’ora di treno se avete il Japan Rail Pass e prendete l’espresso, di più con i convogli più economici).

Un gruppo di Ainu in una foto di metà ottocento (foto da Wikimedia, pubblico dominio)
Il museo della birra Sapporo
La città è famosa per la birra che porta il suo nome, la cui produzione è iniziata nel 1876: non tutta la birra viene prodotta qui e l’azienda ha anche due stabilimenti negli Stati Uniti. Il secondo giorno ero stato a fare un giro a Furano e arrivai tardi per visitare il museo, alle 19: le visite erano già finite. Così evitai i ristoranti più chic (ce ne sono vari) e ripiegai sul beer garden estivo allestito nel cortile del vecchio, affascinante stabilimento in mattoni rossi, dove venivano serviti birra e carne yakiniku, da grigliare al tavolo su un fornello. Divertente in compagnia, ma non era la situazione ideale per un viaggiatore solitario. Non c’era nessuno con cui parlare o attaccare discorso.
Ripensai agli ultimi giorni. Amo viaggiare da solo, ma non mi ero mai sentito così solo e un po’ perso come in questo secondo viaggio in Giappone che avevo tanto desiderato. Non parlavo il giapponese e gli stranieri, con i quali ogni tanto poteva capitare di scambiare due parole, dopo il grande terremoto di marzo sembravano essere quasi del tutto scomparsi. I luoghi turistici di Tokyo erano deserti. E se da un certo punto di vista era emozionante avere certi posti tutti per sé, Nakamise dori, la strada che porta al grande tempio Senso-ji di Asakusa, completamente vuota appariva spettrale.
Però non avevo tempo di indugiare nella malinconia perché era di nuovo ora di partire, anche se a Sapporo avevo dedicato davvero poco tempo e non l’avevo capita: finii la birra e chiamai un taxi. Mi aspettava un bus notturno per andare all’estremo nord est del Giappone, la penisola dello Shiretoko.
Come arrivare al Sapporo beer museum
La fabbrica è a circa 25 minuti dalla stazione centrale di Sapporo o a 15 dalla stazione Higashi Kuyakusho. Oppure potete prendere il bus Loop 88 factory line che ferma ai grandi magazzini Seibu vicino alla stazione o alla stazione di Odori. Altre informazioni su Japan Guide. Costo 500 yen per un tour guidato.

Sapporo beer museum (foto di Daigaku 2015, da Wikimedia commons – licenza creative commons attribution share alike)

Sapporo dal monte Okurayama (foto di Asacyan, da Wikimedia commons – licenza creative commons attribution)
Come arrivare a Sapporo e come muoversi
Fra Tokyo e Sapporo ci sono numerosi voli, anche con compagnie low cost: ci vuole circa un’ora e mezza. L’alternativa è il treno che è diventato da poco una scelta molto più semplice da fare: nel 2016 è stata infatti inaugurata la linea Shinkansen che collega Tokyo a Shin – Hakodate in circa quattro ore. Poi per arrivare a Sapporo si deve prendere un espresso che vi porterà in città in altre tre ore e mezza.
Sapporo è una città in cui è piuttosto facile muoversi: ha una pianta a griglia (un po’ come Kyoto) e tre linee della metropolitana che si incrociano a Odori, l’iconico parco nel centro della città che è un imprescindibile punto di riferimento.
Il clima è meno umido e meno caldo rispetto al Giappone centrale d’estate, mentre l’inverno è lungo, rigido (massime di 6 gradi a novembre e di 2 gradi a dicembre, per dire) e con molta neve.
Link utili
- Cosa vedere a Sapporo (Giappone per tutti)
- What to see in Sapporo (Japan Guide)
- Sapporo (da Viaggiappone)
Viaggio in Hokkaido
gli altri post sull’Hokkaido
3 Commenti
Tutto il nord del Giappone è uno dei miei grandi sogni di viaggio, Sapporo inclusa, anche se di questa regione sogno più le bellezze naturali in realtà.
Ho trovato davvero interessante il post con questa prospettiva particolare sulla città, a guardarla dalle tue foto in effetti sembra uno strano intreccio non sempre riuscito tra una città occidentale e una giapponese, sono curiosa di vederla di persona.
Le bellezze naturali sono tante e non ti deluderanno. Avevo uno stato d’animo particolare quando sono andato in Hokkaido e non è una regione della quale mi sono davvero innamorato. O forse c’è davvero qualcosa che inquieta, nella natura, negli spazi, nell’atmosfera. Murakami, Kirino hanno ambientato in Hokkaido alcune delle loro storie più inquietanti. Ma mi è rimasta la curiosità di tornare, per vedere se era davvero così!