Tutto quello che c’è da sapere (o quasi) per un safari autogestito nelle infinite distese dell’Etosha National Park, in Namibia
Nei mesi più secchi, fra giugno e ottobre, sono gli animali a venirti incontro. Così dicono, almeno. Pare che alle pozze d’acqua sia una processione costante di antilopi, rinoceronti, giraffe che si avvicinano circospette e bevono qualche sorso. E fanno bene perché poco dopo arrivano pure i leoni. I turisti devono solo restarsene sulle panchine o chini sulle loro macchine fotografiche sui treppiedi davanti allo specchio d’acqua, illuminato anche di notte. E’ quello che ho letto sul web, sulle guide. Chissà se è vero, magari lo ha scritto qualcuno dall’entusiasmo facile, penso. Perché in questo momento, è aprile, alla famosa pozza di Okaukukejo non c’è nemmeno uno scoiattolo, nemmeno una delle zebre che abbiamo visto a decine arrivando qui.
Qui, alle dieci di sera, ci sono solo tanti turisti che hanno pagato caro i loro bungalow vista savana e che osservano un po’ sconsolati la pianura che si perde nel buio, oltre la campana di luce creata da due fari puntati sul bush. Gli animali sono imprevedibili, in fondo: vanno e vengono.
E’ un po’ la vecchia storia della volpe e dell’uva, però la domanda rimbomba nella mia testa: che differenza c’è fra un posto così e lo zoo? La differenza è enorme, ovviamente, ma allo stesso tempo anche qui c’è qualcosa di artificiale.
Non riesco a riflettere a dovere su questo punto perché nel buio, al di là dell’acqua, compare un’ombra grigia e provo un brivido. Cosa sarà? “Un ippopotamo?”, dico. “Quelli stanno sempre in acqua”, mi corregge Letizia. Poi l’animale, che si distingue appena, si mette di profilo: c’è davvero. E’ un rinoceronte. Resta un po’ a bere senza mai farsi illuminare e poco dopo se ne va, dissolvendosi inesorabilmente nel buio.
Se voglio vederne altri dovrò allontanarmi da questa pozza d’acqua perché mi sono ormai convinto che gli animali qui si avvicinano all’uomo solo se costretti. Come biasimarli?
La bassa stagione in Namibia è così, gli animali devi andarteli a cercare.

Uno gnu nell’Etosha National Park (foto di Patrick Colgan, 2017)
L’Etosha National Park
Sono un po’ deluso da Okaukukejo. Ma il primo incontro con il parco nazionale dell’Etosha, il giorno prima, è stato indimenticabile. Siamo arrivati dalla Galton Gate, a ovest. E se chiudo gli occhi vedo ancora la savana che si estendeva all’infinito sotto di noi, davanti alla finestra della nostra camera al Dolomite camp. Vedo le sagome nere di decine di babbuini che sciamavano ai lati del bungalow al tramonto, saltando tra le rocce. Giù, duecento metri più in basso, c’erano decine e decine di zebre, gnu e springbocks vicini a una grande pozza d’acqua.
Okaukukejo non è così. E’ tutto recintato e sembra una piccola, brutta città in mezzo al bush. Non vedo l’ora di ripartire per lasciarmi alle spalle il curio shop pieno di discutibili souvernir e la piscina sporca ed esplorare quegli orizzonti infiniti che sono tutt’intorno e sembrano chiamarmi.
E’ un’Africa vera, quella dell’Etosha, ma allo stesso tempo una fantasia. E’ un mondo meraviglioso, primordiale ed è anche qualcosa di simile a un sogno con i confini ben definiti. A parte turisti e dipendenti del parco che si muovono su rigidi binari, non c’è l’uomo. Fuori c’è tutto il resto: l’umanità sorridente e rumorosa, le tribù che vivono fuori dal tempo. E poi i lati più cupi: le città tremende, le township e anche gli omicidi che sono così tanti da finire nelle notizie brevi dei giornali. Quell’Africa qui non c’è.

Etosha: la pozza del Dolomite camp (foto di Patrick Colgan, 2017)
Come è fatto l’Etosha National Park
Il parco è enorme e i camp visti dall’alto sono probabilmente poco più che puntini di cemento e polvere in mezzo al verde intenso, al verde chiaro, al giallo, al grigio che sono i colori che ricorrono in infinite combinazioni. E una terra selvaggia, in gran parte immutata da secoli.
Il parco è largo oltre trecento chilometri (quasi la distanza fra Roma e Bologna) e copre un’area di oltre 22mila chilometri quadrati fatta di distese di erba, cespugli, alberi di mopane, un po’ di acqua e… deserto. Wikipedia spiega, infatti, che nella lingua oshivambo il nome Etosha significa grande luogo bianco, come il suolo del deserto salino (Etosha Pan) che costituisce il 25 per cento dell’area del parco. Nella stagione umida è coperto da un sottile strato d’acqua e si popola in alcuni periodi di fenicotteri e altri uccelli. In altri momenti dell’anno il pan è un luogo surreale e completamente deserto, del quale potete farvi un’idea percorrendo le strade a est di Okaukukejo (ci arriviamo) e spingendovi fino all’Etosha lookout, unico punto del deserto salino raggiungibile in auto.
Il paesaggio dell’Etosha cambia con le stagioni. E muta anche muovendosi da ovest verso est. A volte lentamente, altre volte in modo improvviso. A occidente ci sono rilievi rocciosi e una vegetazione rigogliosa che si dirada, trasformandosi in una classica savana. Poi si incontrano piccoli boschi, che diventano una fitta, impenetrabile boscaglia. Sul web ho letto più volte parole come boring o featureless per descrivere un parco che mi aspettavo monotono. In realtà fuori dal finestrino vedo un panorama selvaggio che a volte sembra avvolgerti, quasi soffocarti (in questo momento dell’anno l’erba è molto alta in alcuni punti) e poi improvvise, emozionanti aperture in cui lo sguardo si perde nell’orizzonte. Panorami dai contorni indefiniti, lontani, ai quali non sono abituato.
Poco dopo aver lasciato Okaukukejo diretti verso est il parco ci regala subito una sorpresa. Nei pressi di una pozza quasi deserta incontriamo un rinoceronte nero che mangia placidamente. Con un po’ di inquietudine ci avviciniamo, consapevoli che potrebbe facilmente ribaltare il nostro grosso fuoristrada se ci caricasse. Lo osserviamo dieci minuti, lo vediamo avvicinarsi lentamente. Riesco a vedere le profonde rughe, le pieghe della sua pelle grigia e spessa. Poi, a malincuore, lo salutiamo.

Un rinoceronte nero nell’Etosha (foto di Patrick Colgan, 2017)

Un albero solitario sul limitare dell’Etosha Pan (foto di Patrick Colgan, 2017)

Vedere gli animali nell’Etosha: orici a una pozza (foto di Patrick Colgan, 2017)
I camp dell’Etosha
Nel parco ci sono cinque camp gestiti dal governo, tramite la Nwr (Namibian Wildlife Resorts), e sono l’unica opzione per dormire dentro al parco, altrimenti si deve uscire prima del tramonto e dormire in uno dei lodge o campeggi all’esterno, più scomodi, ma di qualità assai superiore a parità di prezzo. Fra i camp statali il Dolomite fa eccezione: nuovo e bellissimo (forse troppo), unico nell’Etosha: perfettamente inserito nella natura, senza recinzioni. Non ha però una pozza d’acqua raggiungibile a piedi.
Altri camp sono recintati e sembrano delle piccole città, gestite in modo un po’ inefficiente. Andando verso est si incontra Oliphantsrus (solo campeggio, famoso per gli elefanti e con un bellissimo capanno per osservare gli animali). Quindi c’è Okaukukejo, vicino all’ingresso principale del parco, l’Anderson gate. Più a est c’è Halali (che ha una bella pozza d’acqua, idilliaca, in fondo a dieci minuti di sentiero). E poi Namutoni e Onkoshi, affacciato sul deserto salino.

La cartina dell’Etosha National Park, dal sito del parco
Nella cartina potete vedere i vari camp. Dal Dolomite a Okaukukejo sono quasi 180km, quindi circa quattro ore di viaggio (ma probabilmente di più comprese le fermate)
Vedere gli animali nell’Etosha National Park
C’è qualcosa che ti fa ritornare bambino nel partecipare a un safari organizzato scrive Paul Theroux nel suo libro ‘The Last Train to Zona Verde” in cui attraversa proprio la Namibia. Le regole come “non scendere dal veicolo”, “non far rumore”, il fatto di metterti completamente nelle mani della tua guida, la percezione che tutto fuori dalla jeep sia potenzialmente pericoloso, fanno rivivere una situazione tipica dell’infanzia. Ed è forse questo a rendere così marcata la sensazione di meraviglia e sorpresa quando si assiste allo spettacolo degli animali nel loro ambiente naturale (che è bellissimo ed emozionante, non fraintendetemi).
Tutto questo però nell’Etosha National Park non succede o, perlomeno, il safari organizzato non è il modo più diffuso per visitarlo. Nell’Etosha si va alla ricerca degli animali e delle pozze d’acqua con la propria auto. Ed è un’esperienza diversa: non si prova il fatalismo che si prova durante i game drive. E’ un’esperienza emozionante, ma senti che tutto dipende da te e finisci per stare a lungo in auto e cercare addirittura troppo, fino a quando sei così stanco che non vedresti nemmeno un elefante in mezzo alla strada.
Vedere gli animali nell’Etosha è facile. Vedere tutti quelli che sognate di vedere sarà difficile. Fatevene una ragione.
Avendo più tempo, forse qualche altro game drive lo avrei fatto, magari notturno (dopo il tramonto non si può uscire in autonomia). Di sicuro è più rilassante se guida qualcun’altro.
Le strade dell’Etosha National Park
Nel parco c’è un essenziale reticolo di strade sterrate in buone condizioni con le pozze d’acqua ben segnalate e questi sono i punti principali in cui vedere gli animali. Poi ci sono i detour (deviazioni), percorsi spesso più accidentati che vi portano nel fitto della boscaglia per poi ricondurvi sulla strada principale, e le drive, percorsi più lunghi dentro al parco. Entrambi sono buoni modi per vedere animali o per immergersi un po’ di più nella natura del parco.
Le strade si possono percorrere con auto normali. La velocità massima è di 60 km/h, ma va considerata una media molto inferiore. Anche perché avvistamenti e imprevisti possono sempre accadere.

Incontri nell’Etosha National park: un elefante (foto di Patrick Colgan, 2017)

Vedere gli animali nell’Etosha: uno sciacallo nascosto nell’erba: bisogna tenere gli occhi aperti (foto di Patrick Colgan, 2017)
Come vedere gli animali nell’Etosha
Per vedere gli animali nell’Etosha bisogna andare alle pozze, ovviamente. E poi guidare piano e guardare con attenzione ai lati della strada. Durante il giorno leoni e ghepardi stanno spesso all’ombra degli alberi, quindi è lì che bisogna guardare. Percorrendo le strade dell’Etosha abbiamo visto innumerevoli antilopi. E poi elefanti, gnu, zebre, giraffe, tutte ai margini della strada principale e in alcuni casi vicino alle pozze. Infine abbiamo visto pure un enorme rettile (simile a una grossa lucertola), uccelli rapaci di ogni tipo (aquile, falchi, il serpentario) e uno sciacallo nascosto nell’erba. Oltre a un occhio attento serve, ovviamente, molta fortuna. I leoni non siamo riusciti a vederli.
In alta stagione è tutto più semplice: le pozze dei camp, in particolare quella di Okaukukejo sono spesso affollate di animali e illuminate di notte. Però, da quello che ho visto, l’atmosfera non è il massimo: panchine, riflettori e i bungalow tutt’intorno: si perde un po’ di magia.








Come prenotare un viaggio nell’Etosha national Park
La prima regola è prenotare, se possibile, con larghissimo anticipo, specie per l’alta stagione, (giugno-ottobre) quando potrebbe non bastare muoversi sei mesi prima. Il Dolomite ha solo una ventina di camere, ma anche una piccola città come Okaukukejo si riempie in fretta nei periodi di maggior afflusso. Si prenota sul sito dell’Nwr e come sempre in Namibia, purtroppo, il pagamento è anticipato.
Se non trovate alloggio nel parco non disperate: appena fuori ci sono tante strutture di ottimo livello e ogni fascia di prezzo. Noi ci siamo concessi un piccolo lusso finale all’Etosha Safari Lodge (bellissimo), ma ci sono anche campeggi.

Animali nell’Etosha: Gnu e Hartbeest. Strana amicizia fra erbivori (foto di Patrick Colgan, 2017)
Gli altri post sulla Namibia
- La Namibia in auto
- Fra le dune di Sossusvlei
- Swakopmund e Sandwich Harbour
- In viaggio sulla Skeleton Coast
- Le incisioni rupestri di Twyfelfontein
- Vedere gli animali nell’Etosha National Park
- La visita a un villaggio himba
e dal blog Persorsi – Namibia, una guida pratica
3 Commenti
Confermo, purtroppo, che per fine ottobre tutte le sistemazioni all’interno del parco sono già al completo.
Bellissimo racconto, aspettiamo altri articoli !
Bravissimo Patrick, continua a scrivere della Namibia!!! ;)
Noi pernotteremo all’Okaukuejo 3 notti. Avremmo dovuto passare una notte anche al Dolomite, ma abbiamo chiesto un cambio per una destinazione meno conosciuta ma a cui tenevamo molto.
Al ritorno ti saprò dire.
Ho una domanda: ma in caso di foratura dentro nell’Etosha? Chissà che paura scendere per cambiare la gomma. Ci è capitato dentro il Serengeti diverse volte ma eravamo noi e la nostr bravissima guida. Federico ha sempre aiutato nel cambio e io passeggiavo a ridosso dell’auto, ma Stanley sembrava vedere gli animali a occhio nudo e km di distanza, quindi non avevamo paura. Da soli….. mah…
Un abbraccio,
Elena
Perdonami, ero sicuro di avere risposto!
Dunque… la strada nell’Etosha è piuttosto buona e secondo me il rischio di forare è basso (non abbiamo visto nemmeno una macchina in panne). Effettivamente ci siamo chiesti anche noi cosa fare nel caso… forse l’avrei cambiata ugualmente perché predatori vicino alla strada non ne abbiamo visti.
ciao a presto!