Visto che per ora non si può viaggiare, facciamolo almeno fra le parole. Dieci libri sul Giappone (più uno) scelti fra quelli più belli o che ho amato di più, principalmente in italiano.
Solo qualche anno fa in libreria i testi sul Giappone non erano tanti come oggi. Parlo di libri non universitari. E la letteratura di viaggio era del tutto assente: in pratica nelle principali librerie si trovavano solo i titoli di Tiziano Terzani e di sua moglie, con un punto di vista peraltro piuttosto negativo e cupo sul Paese, e il celebre Autostop con Buddha di Will Ferguson (tutti titoli Feltrinelli Traveller, ben distribuiti). Ma con l’aumento del turismo è aumentato anche l’interesse – a dismisura – e ora in libreria può capitare di trovare pareti intere dedicate al Giappone. Dentro c’è però un po’ di tutto, dai libri di ikigai (quelli che spiegano che i giapponesi hanno trovato la chiave per vivere meglio, in pratica) alle guide, più o meno valide.
Io provo a passare in rassegna un po’ di titoli di letteratura di viaggio, che amo (quando è ben scritta), che è il modo migliore per cominciare a fantasticare su un Paese (per chi non ci è mai stato) o per tornarci per qualche ora, visto che mentre scrivo non ci si può andare.
Vi ricordo anche che ho dedicato anche un post intero soltanto ai libri su Kyoto, uno ai libri su Tokyo. E ho dedicato anche un post a libri sul Giappone, magari da leggere prima di un viaggio o da regalare a chi lo sogna.
Libri di viaggio sul Giappone
Qui vi elenco i miei titoli preferiti, non tutti in italiano, non tutti facilmente reperibili. Ho escluso i libri che non appartengono pienamente alla categoria. Quindi niente saggi, niente libri troppo stanziali, niente romanzi eccetera. Sui viaggi a fumetti farò, invece, un altro post.
E poi sono uno degli autori (con Francesco Comotti e Laura Imai Messina) di una guida che abbiamo pensato un po’ come se fosse un racconto di viaggio, la nuova guida Touring del Giappone.
Autostop con Buddha, di Will Ferguson

Will Ferguson è un professore canadese che un giorno decide di voler capire davvero il Paese e si imbarca in un viaggio in autostop seguendo l’onda dei ciliegi in fiore che sale da sud a nord in primavera. Cosa c’è del resto di più giapponese? Autostop con Buddha è un libro di viaggio ironico e che trasuda affetto. Racconta un Giappone che forse non c’è più, quello degli anni ’90: moderno, un po’ chiuso e un po’ arrogante, nonostante fosse passato il periodo in cui era una potenza economica presa a modello da mezzo mondo. I turisti, al tempo, non erano tanti e Ferguson sembra sempre suscitare una certa sorpresa.
Viaggiando così entra nelle auto, nelle case, nelle vite dei giapponesi di provincia – incontrando personaggi decisamente curiosi – ed è un racconto unico. A volte il libro lascia un po’ perplessi perché Ferguson dall’ironia scivola nel sarcasmo: in realtà è solo un effetto del rapporto di amore e odio comune a tanti stranieri che vivono nel Paese e che ho conosciuto molte volte. Lo ammette lui stesso quando scrive
Il Giappone è un paese che si odiama, a cui ci si avvicinallontana, da cui si vuole andarestare
In definitva, un libro piacevolissimo e ben scritto che ricorda un po’ i libri del primo Bill Bryson. E poi narra un viaggio speciale: non ho mai conosciuto nessuno che abbia fatto autostop in Giappone.
(Una delle ispirazioni di Ferguson è un altro gran libro, di Alan Booth, il prossimol di cui parlo).
Autostop con Buddha – Will Ferguson (454 pagine, Feltrinelli– tit. originale Hokkaido highway blues, poi Hitching a Ride with Buddha). Il libro è del 1998.
Sata, di Alan Booth

Scritto nel 1985, Sata acconta un incredibile viaggio a piedi del 1977, quando Alan Booth percorse a piedi di oltre tremile chilometri dal capo Soya, all’estremo nord dell’Hokkaido, a capo Sata, estrema punta meridionale del Kyushu.
Booth era un giornalista e scrittore, studioso di teatro no e di cultura giapponese, ma nel libro non ne fa sfoggio. Racconta invece con sensibilità e ironia il suo cammino (ricorda un po’ Autostop con Buddha) in un giappone molto diverso rispetto a quello di oggi anche per quanto riguarda la consuetudine con gli stranieri. Non è da prendere quindi come una ‘guida’ del Paese attuale, ma come un’esperienza di incontro e scoperta – fra alti e bassi -, raccontata da una voce che è facile sentire amica, vicinissima.
Alan Booth se ne è andato prematuramente, nel 1993, a soli 47 anni. Un altro libro, pubblicato postumo nel 1995, è la raccolta di racconti Looking for the lost, mai tradotta in italiano.
Sata – >Alan Booth (Vallardi, 301 pagine)
Il Paese più stupido del mondo, di Claudio Giunta

Critico, filologo, docente di letteratura italiana e studioso di poesia medievale, Claudio Giunta ha dimostrato di saper raccontare in modo interessante, acuto e non convenzionale l’esperienza del viaggio, come in Tutta la solitudine che meritate, sull’Islanda. In questo libro Giunta racconta – con uno stile diretto e una certa ironia – la sua esperienza in Giappone di due mesi per tenere corsi universitari. Una decisione presa anche per prendersi una vacanza dall’Italia “un paese in cui tutti sembrano essersi messi d’accordo per fare le cose alla cazzo di cane”.
E non potendo tornare nella Vienna dell’800 – ammette – va in Giappone. Così seguiamo il professore che si muove in un ambiente universitario sconosciuto, fra strani incontri con gli italiani che vivono a Tokyo e il faccia a faccia con aspetti apparentemente sconcertanti del Paese. Era il 2007, e i turisti non erano poi tanti. E Giunta ha voglia di capirci qualcosa di più. Ma nemmeno troppo, come avverte all’inizio:
(…) questa smania di riconoscere l’Intero nel Frammento è poi quella che rende ridicoli i libri sul Giappone scritti dai non esperti, gente che è passata di lì per due settimane e poi si è messa a comunicarci la sua visione una volta estratta la quintessenza delle dieci cose che ha visto.
È meglio lasciar stare la quintessenza: non c’è una verità profonda del Giappone da scoprire sotto la superficie e, se c’è, bisogna studiare troppo per trovarla.
Giunta sembra ingaggiare una battaglia personale con certa letteratura sul Giappone, forse irritato dalla cattiva scelta dei libri che mette in valigia. Oltre all’azzeccato ‘Ore Giapponesi’ di Maraini (che definisce “un libro bellissimo”), si porta anche L”eleganza è frigida, di Parise (“un brutto libro”) e “L’impero dei segni”, di Barthes (“addirittura orrendo”). E così nel raccontare il Giappone passa pure in rassegna in modo spesso spietato la letteratura di viaggio sul Paese, mettendone in risalto le debolezze e le ingenuità, il kitsch e l’idealizzazione.
Le osservazioni sono a segno, ovviamente, anche se Giunta a volte cade, mi pare, in errori simili a quelli che fustiga: forse influenzato dai libri di Alex Kerr (molto severo con il Giappone moderno) descrive per esempio il Paese come cementificato e paesaggisticamente devastato. E se è vero che il cemento ha invaso gran parte della pianura del Kanto, se avesse accolto l’invito ad andare a trovare Kerr nella sua antica casa Chiiori, nello Shikoku, forse avrebbe cambiato idea.
Il libro però è bello, intelligente e coinvolgente e molto diverso da tutti gli altri scritti sul Giappone. Spero solo che il mio piccolo libro di viaggio sul Giappone non finisca mai fra le mani di Giiunta.
p.s. Come spiega lo stesso autore, a scanso di equivoci, il Paese più stupido del mondo non è il Giappone.
Il Paese più stupido del mondo – Claudio Giunta (Il Mulino, 174 pagine)
Uno studio sul niente, di Luca Buonaguidi

Anni fa lessi un libro per tanti versi dimenticabile di Michel Onfray, ‘Filosofia del viaggio‘ ed ero rimasto perplesso leggendo la sua esaltazione dei versi poetici come modo di raccontare l’esperienza del viaggio. Certo c’era Basho. E poi? Onfray scriveva che la prosa “diluisce ciò che il poeta trasfigura in bagliori”. E non capivo. Ma nel libro di Luca Buonaguidi, viaggiatore instancabile e scrittore prolifico, ho trovato questi bagliori. Come ‘lanterne nel buio’ ho scritto nella postfazione.
Il libro alterna foto in bianco e nero ai versi di Buonaguidi (e un racconto) che dialogano con citazioni di altri autori e ci ho riscoperto molto di quello che non trovo in tanti libri di viaggio: l’intuizione, l’immagine che resta impressa, il riconoscimento, il senso di comunanza, condivisione che si prova ascoltando una canzone che pensi parli proprio di te. Quello che con più parole si finisce per rendere non più chiaro, ma più oscuro.
Fra le poesie io ne amo una in particolare. forse non la più bella, perché la sento molto vicina e mi ricorda di momenti in cui viaggiavo da solo in Giappone.
Un grande parcheggio
vuoto accanto alla strada
lungo il fiume Saigawa
Uno scenario comune
che qui e ora rivela
un segno mai scorto prima.
Viaggiare da soli
insegna a stupirsi
della propria ombra.
Da soli il nostro compagno
di viaggio è il fantasma
che ci cammina accanto.
Uno studio sul niente. Viaggio in Giappone – Luca Buonaguidi (Italic, 62 pagine)
Tokyo tutto l’anno, di Laura Imai Messina
Viaggio sentimentale nella grande metropoli’recita il sottotitolo ed è perfetto per questo libro nel quale Laura Imai Messina racconta Tokyo attraverso le stagioni, tessendo un testo che si alimenta del suo vissuto così come della storia della città. Un testo colorato dalle immagini, dai sapori, fondamentali e in mutamento con i mesi e le stagioni (dicembre per esempio è aspro come lo yuzu), e dalla passione per la lingua giapponese: i kanji, i caratteri cinesi (o ideogrammi), tanto ostici per chi studia il giapponese sono spesso capaci di svelare altre storie.

È un racconto, quello di Laura Imai Messina, per sua natura intimo, personale e imperfetto perché la capitale è mutevole e sfuggente e non può davvero essere mai raccontata. Tokyo non è tanto una metropoli quanto una narrazione plurale scrive nell’introduzione. E prosegue così:
Il rischio maggiore di spiegare Tōkyō in dettaglio, del resto, è che i particolari si muovono come pedine su una scacchiera. Restano nella loro posizione un momento, nella misura in cui il gioco e la strategia lo richiedono, ma poi, subito dopo, scivolano sull scacchiera e ne escono non appena il gioco finisce.
Con la stessa rapidità, ecco un’altra partita riprende da capo ed elimina la memoria della precedente.
Poche pagine dopo descrive per esempio un vecchio simbolo di Tokyo, la stazione di Harajuku, del 1924, ispirata alle case graticcio tedesca che lascerà presto spazio (scrivo a fine 2020) alla nuova stazione realizzata per le Olimpiadi. Sicuramente lo sapeva, ma non l’ha scritto, perché sarebbe stato inutile: Tokyo cambia.
Un libro straordinario sia per chi ama Tokyo sia per chi non l’ha mai visitata e vuole sognarla, che fa quasi passare in secondo piano le belle illustrazioni di Igort, un po’ oniriche, immagini dai colori tenui e spesso vuote, inanimate come ricordi scintillanti. Immagini che mi provocano una pungente, profonda nostalgia.
Seguite anche il blog di Laura (a questo link il suo post sul libro)
Tokyo tutto l’anno – Laura Imai Messina (Einaudi, 290 pagine)
Cerchi infiniti, di Cees Nooteboom
Che cosa mi è rimasto più impresso di Kyoto, oltre alla stessa Kyoto? Un’immagine da nulla e un’immagine di tutto.

I diari intimi, personali, poetici dei viaggi in Giappone di una vita di Cees Nooteboom a volte appaiono un po’ datati, spesso i primi (si parte dal 1977): l’autore guarda il Paese con l’occhio affascinato e perplesso tipico di quegli anni (e che riecheggia nei libri ‘bastonati’ da Giunta). Poco importa perché questo è un dialogo interiore – altrimenti leggeremmo una guida- l’evoluzione di un rapporto con il Paese. Frammenti di letteratura di viaggio (sono brevi racconti, un po’ disuniti) che ho sentito molto vicini.
Cerchi infiniti, di Cees Nooteboom (Iperborea – 277 pagine)
Il cammino del Giappone, di Luigi Gatti
Luigi Gatti racconta il suo cammino nello Shikoku, il celebre pellegrinaggio degli 88 templi, ma il suo è anche il racconto di un rapporto personale con il Paese (e in effetti il cammino vero e proprio è solo una parte del libro), di un incontro casuale che può cambiare la vita. E attraverso questo racconto riesce a spiegare anche aspetti della cultura e della spiritualità del Paese. Sono proprio persone incontrate lungo il viaggio a spiegare, a rispondere a domande a chiarire i suoi dubbi o a correggerlo. In parte è un dialogo fra culture, ma è soprattutto un processo di ascolto: perché il Giappone – così è stato anche per me – è anche un lungo percorso di apprendimento, quasi di iniziazione. E forse è anche questo che finisce per rapirci, legarci per tutta la vita a questo Paese.

Peccato solo che Gatti non ci apra completamente il suo cuore. Il suo racconto ci nasconde le sue fraglità, anche i tormenti, le emozioni di un viaggio simile e che sicuramente non sono mancate come in nessun cammino solitario. Avrei voluto leggere anche questo, ma a ben pensarci anche questo pudore, il voler lasciar spazio soprattutto al Paese, è profondamente nipponico.
Qui c’è un’intervista a Luigi Gatti su Giapponepertutti.
Il cammino del Giappone, di Luigi Gatti – Mursia (277 pagine)
La bellezza del Giappone segreto, di Alex Kerr

È un libro di viaggio? Non precisamente, l’autore lo definisce una raccolta di saggi autobiografici, ma per me lo è. Certo Alex Kerr, scrittore e studioso, sensibile, dotato di un’intelligenza rara ed eclettica si sposta, incontra persone e si ritira in una remota casa dello Shikoku raggiungibile lungo un sentiero a piedi (Chiiori, ora visitabile più agevolmente).
Ma le digressioni, le annotazioni, le riflessioni sono frequenti e costituiscono la parte più ricca e preziosa del libro che è anche e soprattutto il racconto, appassionato, amorevole -e addolorato – di un Paese che sta sparendo (il titolo originale è, infatti, Lost Japan) e che non sa custodire la sua cultura. Non a caso fu pubblicato per la prima volta in giapponese: era un avvertimento, un invito a fare qualcosa. Kerr è un po’ severo nei giudizi, ma lo è come un amico sincero, che non può tacere.
è un libro sul passato e su quello che ci può insegnare
Va letto anche perché è l’unico libro di Kerr, autore straordinario, tradotto in italiano. Kerr ha poi sviluppato alcuni temi in un altro libro, ancora più severo, Dogs and Demons (e sconceertante, per le cose che racconta sul Giappone contemporaneo).
La bellezza del Giappone segreto – Alex Kerr (Edt – 335 pagine)
Ore giapponesi, di Fosco Maraini

Un altro libro di viaggio sui generis, che sfugge alle definizioni così come il suo autore. Viaggiatore, fotografo, antropologo, scrittore, Fosco Maraini è un personaggio che non può esssere incasellato, né capito facilmente. Piuttosto, lo si deve leggere. Questo meraviglioso tomo è il racconto di una vita straordinaria in Giappone, di un rapporto privilegiato, un amore fra Maraini e il Paese che ha attraversato gran parte del ‘900 fra momenti di perfezione, di idillio, e altri durissimi, come quando per due anni fu internato in un campo di prigionia per stranieri assieme alla famiglia. Maraini in questo libro ha una voce schietta, ironica, ma a volte anche poetica che rende la lettura piacevole, leggera, indimenticabile.
Ne ho scritto anche nei libri su Kyoto.
Ore Giapponesi – Fosco Maraini (Corbaccio, 526 pagine)
The Inland Sea, di Donald Richie

Mai tradotto in italiano, questo libro è un gioiello di un grande scrittore e studioso del Giappone, Donald Richie. Il libro racconta, con qualche licenza, un viaggio nel Mare interno negli anni ’70: una zona cambiata moltissimo, che forse Richie oggi avrebbe trovato irriconoscibile e spopolata, ma che ancora oggi è un mondo con paesaggio, clima, ritmi, tempo, separati dal resto del Paese. Ma è anche una lunga meditazione, sincera, sul rapporto personale con il Giappone.
The Inland Sea – Donald Richie (Stone Bridge – 319 pagine)
Orizzonte Giappone
L’undicesimo libro

Perdomatemi se in fondo a questa lista, come ‘undicesimo) ci metto anche il mio piccolo libro di viaggio, scritto alcuni anni fa. Ci sono racconti che coprono tutto il Paese, da Okinawa all’Hokkaido, dall’estremo sud all’estremo nord, su Kyoto, Kanazawa, Taketomi e il parco dello Shiretoko, ma anche sulle zone colpite dallo tsunami del 2011, visitate a tre anni di distanza.
Lo scrissi dopo i primi sette viaggi in Giappone. Ora ne ho fatti quindici, credo di sapere più cose e so di non saperne moltissime di più: forse lo scriveerei in modo diverso, ma non so se sarebbe un libro migliore perché quel senso di meraviglia e di sconcerto, di spaesamento dei primi viaggi è irripetibile. E non torna più.
In questa pagina ci sono un po’ di informazioni in più su Orizzonte Giappone
Orizzonte Giappone – Patrick Colgan (ed. goWare, 80 pagine).
Per continuare a leggere
- Libri per viaggiare in Giappone – Un altro post in cui raccontavo altri libri
- Cinque libri per sognare il Giappone – Una bella selezione da Always Ithaka
- Libri di viaggio – l’archivio con tutti i post
Ho parlato dei miei libri di viaggio sul Giappone preferiti anche nel podcast ‘Il Milione’ e ho citato, in realtà, titoli diversi. Lo trovate su tutti i siti di podcast gratuiti oppure qui.
5 Commenti
Ne ho letti 5/10 compreso il tuo eh eh eh. Di Kerr ho letto Il Giappone e la Gloria e ho preso ma non ho letto quello che hai citato nell’articolo. Credo priprio che prenderò anche La bellezza del Giappone segreto ma questo è un periodo in cui non faccio che comprare libri senza avere il tempo di leggerli
Caro Lorenzo, quanti temi, quanti spunti! Difficile rispondere su ognuno. Posso solo dire che è vero che Kerr dà sempre l’idea di entrare facilmente in relazione con chiunque, ma – pur non avendolo conosciuto – credo sia un tratto della sua personalità che gli ha permesso anche di realizzare concretamente numerosi progetti, come la ristrutturazione di numerose vecchie case nella valle di Iya. Anche Claudio Giunta nel suo libro racconta di esser subito entrato in sintonia con Kerr e di essere stato invitato ad andarlo a trovare a Chioori. Sul resto io non vedo contraddizioni così stridenti, ma è vero che è sicuramente una personalità particolare e con una vsione originale e decisamente poco ortodossa (se non ricordo male è proprio qui che racconta i suoi problemi all’università per aver preso sul serio, se non sbaglio, l’i-ching).
grazie ancora per lo scambio, commenti così sono preziosi! Un saluto, a presto
p.s. nel frattempo ho avviato una rilettura del libro più critica dopo gli spunti che mi hai dato
Grazie a te Patrick per questo prezioso scambio di opinioni. Permettimi di chiarire maggiormente qualche punto della mia argomentazione. Sulla severità di certi giudizi, che mi sembra si riferiscano a problemi di oggettiva gravità, si può essere anche d’accordo (deforestazione, abbandono delle zone rurali, scomparsa di tradizioni secolari, sensibilità al tema ecologico, per citarne solo alcuni). Sul fenomeno di imbruttimento dei centri urbani andrei già più cauto, data la diversa percezione del “bello” della cultura giapponese (così bene espressa da Fosco Maraini). Quando però poi gli aspetti negativi sembrano quasi prevalere sugli altri (la giovinezza fa vedere le cose sempre con occhi diversi), viene quasi da chiedersi perché Kerr abbia deciso di rimanere nel paese. Ma questo è un discorso diverso: per me è molto importante stabilire un legame di empatia con l’autore di un libro, e in questo caso specifico ciò non è successo. Kerr riesce quasi sempre a entrare nelle grazie dei giapponesi, siano essi i montanari della valle di Iya, attori in declino di kabuki, accademici etc etc. Per carità, questo è assolutamente possibile, ma a me un po’ puzza onestamente. Ma anche qua siamo nell’ambito del personale. Il limite più grande del libro invece è, a mio avviso, rappresentato da affermazioni contraddittorie, confuse, e superficiali, quando non sbagliate storicamente. E questo non credo sia accettabile nella biografia di una persona che si è formata negli studi asiatici e che ha poi deciso di mettere a disposizione la sua conoscenza, seppur come dici tu in maniera divulgativa. Per esempio, in un passaggio del libro scrive che i giapponesi hanno un complesso di inferiorità più o meno consapevole perché avvertono che molti tratti della loro cultura sono venuti da fuori. Qualche pagina dopo scrive che le sofisticate arti tradizionali del Giappone non hanno paragone in tutto il mondo. Ma tre pagine dopo,ancora, scrive che il Giappone “è diventato una specie di pentola a pressione culturale in cui entrano tanti ingredienti , ma dalla quale non ne esce nessuno”. Insomma, una serie di contraddizioni poco chiare. Dire poi che non ne esce nessun ingrediente mi sembra un macroscopico errore storico e culturale (insomma, su alcune tele di Van Gogh e Manet erano rappresentate anche stampe giapponesi, giusto per dire). E poi, a Kerr piace tanto dire e pensare che l’Asia sud-orientale abbia plasmato tanta parte della civiltà giapponese. Opinione rispettabile, ma suffragata da cosa? Esistono prove di legami certi, questo sì, ma l’influenza della Cina (attraverso la Corea) è stata storicamente ed innegabilmente di una rilevanza ben diversa. Per quanto riguarda il successo che il libro ha incontrato in Giappone, bisognerebbe innanzitutto conoscere il giapponese e vedere in che cosa la versione originale differisca da quella riscritta in inglese. E poi non sarebbe così assurdo pensare che l’elegia per un Giappone perduto sia stata la componente che ha catturato la giuria giapponese. Perdonami per questo sproloquio, ma ho ritenuto opportuno far emergere la mia voce fuori dal coro per un libro che ha riscosso così tanta approvazione, a mio avviso piuttosto inspiegabilmente
Ciao Patrick! Sto leggendo” La bellezza del Giappone segreto”, ma lo trovo deludente. Ci sono diverse inesattezze nel libro e giudizi troppo superficiali. In un paese così complesso e sfuggente come il Giappone come si fa a dire con assiomatica certezza che sensualità e rituale ne sono i due poli imprescindibili? Certamente sono fondamentali, ma assieme a tante altre componenti. E poi, molta della sua argomentazione si sviluppa per dicotomie e opposizioni : possibile che da fine conoscitore del Giappone quale si professa non comprende che esso è il frutto di ibridazioni e che non per forza coppie di opposti debbano essere in relazione di opposizione l’una con l’altra? I riti della cerimonia del tè, del teatro no e dello zen sono secondo lui ascrivibili a un moto di reazione verso un’eccessivo indulgere alla sensualità. E il buddismo? E perché le tazze da tè, cito dal libro, sono “informi” e color marrone?. Allo stesso modo il discorso relativo all’ukiyo viene liquidato superficialmente, rendendolo quasi una versione nipponica di Playboy…
Credo sia del tutto legittimo che Kerr comunichi quale Giappone gli piaccia di più, ma non a discapito della storia.
Ciao Lorenzo, innanzitutto, grazie per il tuo contributo argomentato. Condivido il fatto che Kerr esprima un punto di vista molto personale – a volte un po’ troppo – e non molto rigoroso (nello scrivere del libro mi sono soffermato sulla ‘severità’ che secondo me traspare da diversi giudizi). Del resto è un libro divulgativo e non specialistico, dal tono colloquiale. Ritengo però che molte delle sue idee siano interessanti e, a volte, illuminanti (stessa cosa per ‘Another Kyoto’ dove le riflessioni sono ancora più personali ed eterodosse): le dicotomie sono chiavi interpretative e, secondo me, molto interessanti, preziose. Del resto gli stessi giapponesi non ci videro grossi problemi visto che lo premiarono con il premio Shincho Gakugei nel 1994. Però sì, concordo che sia questo sia ‘Another Kyoto’ non siano da prendere come verità assoluta ma come chiavi interpretative, spunti, punti di vista. E grazie ancora per il tuo commento, mi hai fatto venir voglia di rileggerlo ancora una volta alla luce di queste critiche!
Ciao, un saluto!