Dewa Sanzan, viaggio alle montagne sacre, salendo attraverso i boschi nel nord del Giappone. Anche se ne abbiamo visitate solo due su tre. E di una non si può parlare
Davanti a noi c’è un enorme torii, un portale che indica l’ingresso a un luogo sacro e una strada che sale e si perde nella nuvole basse: sembrano davvero celare alla vista un altro mondo. Siamo alla fine di ottobre, fa molto freddo e il vento porta piccoli fiocchi di neve e ghiaccio che si infilano fra il cappuccio della mia giacca e il volto.
Qui ci sono un grande parcheggio, una foresteria e un piccolo centro visite, dove sventola uno stendardo con la famigliare scritta ‘ramen’. All’interno un vecchissimo poster con una ragazza in costume adagiata sulla sabbia ci invita a bere una birra: i contrasti di questa situazione sarebbero assurdi in ogni altro luogo, ma certamente non in Giappone. Il ramen e la birra sono invitanti con questo tempo e ci scalderanno dopo, ora dobbiamo camminare. Ma di quello che c’è oltre quel portale e dentro quella coltre grigia, vicino alla vetta del monte Yudono, io e i miei due compagni di viaggio non potremo parlare. Né potremo tantomeno fare foto o video. Chi entra fa un voto di segretezza.
Dissolvenza. Se fosse in un film apparirebbe una scritta che indica che siamo tornati al giorno precedente, perché di quello almeno posso scrivere.
Alloggiamo al tempio Daishinbo, uno dei tanti, vicino al punto di partenza del cammino che sale al monte Haguro. La mattina comincia camminando sul tatami che è ancora intriso del freddo della notte, con i piedi che gelano rapidamente lungo stretti corridoi in penombra, fino a una sala con tre seggiole. Assistiamo alla preghiera del sacerdote, intervallata dal suono di un tamburo e dell’horagai, una strana tromba ricavata da una conchiglia panciuta che viene utilizzata nel corso delle cerimonie su queste montagne. Ha un suono un po’ stridulo, ma potente, penetrante.
Questi suoni ritmati, ipnotici, ripetitivi e il canto incomprensibile del prete mi fanno scivolare nuovamente al confine con il sogno. Chiudo gli occhi. Rivedo i boschi di Kyoto e del monte Koya, il profilo del Fuji dall’aereo, la folla di Shinjuku, risento sulla pelle il calore dell’onsen per la prima volta. Ancora una volta è come se sentissi una voce che mi chiede cosa ci fai qui?
Dewa Sanzan (出羽三山)
Siamo venuti alle tre montagne di Dewa (Hagurosan, Gassan e Yudonosan – san in giapponese significa montagna, vetta). È un antico luogo sacro nella provincia di Yamagata, vicino alla costa occidentale del Tohoku, la grande regione nel nord est del Giappone che custodisce grandi spazi, natura selvaggia, sorgenti termali e testimonianze di una storia importante. Gli spiriti di queste montagne sono oggetto di culto da tempi antichissimi, ma il primo centro religioso fu aperto dal principe Hachiko alla fine del sesto secolo. Il luogo divenne allora meta di pellegrinaggio e cuore della pratica religiosa sincretica dello Shugendo, l’ascetismo di montagna degli yamabushi (di cui ho già scritto nei post dedicati alla penisola di Kunisaki e al Kumano Kodo). Si tratta di un credo unisce buddhismo esoterico, scintoismo ed elementi di taoismo in un modo molto particolare. Le leggende attribuivano poteri sovrannaturali agli asceti.
Il pellegrinaggio a Dewa Sanzan simboleggia nelle sue tre tappe un percorso di rinascita: Hagurosan è la nascita, Gassan, la morte e Yudonosan la rinascita. Ancora oggi nei mesi estivi i seguaci dello yamabushido, vestiti di bianco, compiono pellegrinaggi e sessioni di meditazione in questi luoghi. Si chiamano Nyubu Shugyo, che significa entrare nella montagna.
Il periodo migliore per visitare il sito è in effetti proprio l’estate, dal momento che il monte Gassan, il più alto dei tre con i suoi 1400 metri, apre a giugno e chiude a fine settembre. E anche il monte Yudono è generalmente accessibile soltanto da inizio aprile al tre novembre. Qui, nel Tohoku, gli inverni sono gelidi e nevosi. Per questo al Gassan – siamo venuti gli ultimi giorni di ottobre – non possiamo nemmeno andare. Saliremo sul monte Haguro e sul monte Yudono.
Il monte Haguro
Cosa ci faccio qui? La domanda continua a rimbalzarmi in testa, in Giappone mi accade spesso. Per ora, credo, mi godo un momento perfetto. È una giornata di sole, tersa e fresca come possono essere solo le mattine autunnali. Ci incamminiamo in un bosco di cedri giapponesi scuro e verticale, lame di luce filtrano fra le chiome degli alberi e tagliano l’aria. Scie brillanti che sembrano strade, sentieri alternativi a quelli che percorriamo e salgono verso l’alto.
Ma i nostri passi non li sentiamo nemmeno: si fondono con il sussurro familiare dell’acqua che ci accompagna lungo il sentiero. Lo seguiamo fino a un ponte e a una cascata. I giorni di pioggia hanno sicuramente ingrossato le sorgenti ma l’acqua che sgorga dalla montagna è generosa, addirittura impressionante. Tutto nasce dall’acqua e vi ritorna in un fragore brillante. E anche se il cammino è appena iniziato, sono sicuro che è questo il cuore del monte Haguro, quello che simboleggia la nascita di una vita.
Fra gli alberi, poco oltre, si scopre un’alta, maestosa pagoda a cinque piani che sembra confondersi con la foresta. In origine venne fatta costruire nel 937 da Taira no Masakado, un famoso samurai che si ribellò alla sua famiglia e al potere centrale di Kyoto nel decimo secolo prima di soccombere nel 940. La struttura attuale risale a seicento anni fa ed è considerata tesoro nazionale.
Il sentiero sale a scalette, ripidissimo, attraverso la foresta: sono 2.446 gradini fra gli alberi. A metà c’è una piccola sala da tè, dove servono maccha e mochi, dolcetti di riso. “Abbiamo mochi fatti a mano”, ci dice una signora invitandoci a sederci. Lo stesso invito fatto nei secoli a innumerevoli viaggiatori, penso.
Poi si sale ancora, ci vuole poco più di un’ora, con i gradini che si inerpicano fino a un torii, un portale che indica che stiamo entrando in un luogo sacro. Siamo arrivati all’area del santuario del monte Haguro. Il tempio è grande, imponente, è la sua architettura è unica: è il più importante dell’area perché qui sono venerati gli spiriti di tutte e tre le montagne. Ma è quasi una delusione, anche se lo sapevo, riemergere dal bosco per ritrovare la strada asfaltata e le auto che arrivano fin davanti al santuario
Al monte Haguro si può arrivare, comodamente, anche con un veicolo a motore. Ed è la scelta che oggi fanno molti pellegrini. Ma come nella vestizione di un kimono o nella preparazione di un tè o nel disegno di un ideogramma c’è un modo giusto per fare le cose. E qui, per me, è salire a piedi.
Il monte Yudono
Ormai il pellegrinaggio fra i tre monti non si può più fare interamente a piedi, a meno di non percorrere molti chilometri su di una strada asfaltata fra il monte Haguro e il monte Gassan. Ma dal Gassan si può scendere in alcune ore, attraverso un ripido sentiero, fino al monte Yudono. Lo incrociamo mentre ci avviciniamo all’ingresso del santuario, sotto la neve. Su quello che c’è oltre la soglia bisogna mantenere il segreto. Su internet e anche negli opuscoli diffusi in zona, si trovano informazioni sul misterioso santuario del monte Yudono, senz’altro fra i più particolari e strani visti in Giappone. E, per me, emozionanti.
Non aspettatevi nulla di sconvolgente, ognuno del resto vive l’esperienza in modo diverso, ma vi invito a non rovinarvi la sorpresa. Se decidete di venire fin qui, del resto, vale la pena di farlo nel modo giusto. Gli spiriti di queste montagne sono rispettati e venerati da millenni: se anche non ci credessi, chi sarei io, in fondo, per non portare rispetto?
E poi c’è quella domanda. Forse non troverò mai una risposta a quella domanda, cosa ci faccio qui? Ma è quella che, forse, dà senso al viaggio.
Visitare Dewa Sanzan
La città più vicina è Tsuruoka. Da Tokyo sono 4 ore di treno (con cambio a Niigata), ma si può arrivare anche in aereo all’aeroporto locale di Shonai. Oppure con bus notturno. Sicuramente il modo migliore per visitare l’area è con un’auto a noleggio anche perché i bus al momento collegano regolarmente solo il monte Haguro e il monte Gassan, ma non lo Yudono, servito solo nei weekend.
Dopo il grande Torii dello Yudonosan, in corrispondenza del parcheggio e del centro visite, ci sono due chilometri di strada asfaltata in salita fino all’inizio del sentiero. Si possono percorrere a piedi oppure con un bus navetta che fa la spola due volte all’ora.
In questo post l’itinerario del mio viaggio in Tohoku
Altre foto del viaggio







Dewa Sanzan: dove alloggiare
Come in altri luoghi di pellegrinaggio, per esempio al monte Koya, si pernotta generalmente nelle foresterie dei templi (shukubo). L’alloggio al tempio Daishinbo, vicino al monte Haguro,si può prenotare online (con inclusa la mezza pensione). Un’altra possibilità è la foresteria Saikan, vicino alla vetta del monte.
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nota: grazie a Gianni per le sue foto (la mia reflex si è rotta all’inizio del viaggio)
1 Commenti
Racconto che incanta come sempre. Le Montagne di Dewa sono il tipo di itinerario che amerei fare sicuramente, templi, natura, una punta di mistero e tutta la bellezza del Giappone tradizionale! Mi piacerebbe davvero esplorare la zona un giorno!