I diversi volti di una città che sorprende
Il venerdì

La via Crucis a Gerusalemme, un’onda di piena umana, che allaga ogni spazio
(foto di Patrick Colgan, 2013)
Sono schiacciato nella calca della Via crucis, una specie di onda di piena umana che si muove al ritmo della preghiera e lungo la via del Calvario allaga ogni spazio che trova. E’ un fluido che si espande nelle piazzette, nei vicoli laterali, minaccia addirittura di inondare i negozietti di articoli religiosi, scatenando l’ira dei commercianti che gesticolano infastiditi. E poi ci sono pellegrini italiani e spagnoli vocianti, stretti al loro parroco spazientito, silenziosi ebrei ortodossi che si affrettano come ombre scure nei vicoli, diretti al muro occidentale, fedeli musulmani che vanno alla moschea per la preghiera. C’è anche il matto che si crede Gesù e sembra uscito dal film di Mel Gibson. Sono immagini surreali, oniriche, ma non è uno strano sogno. In effetti però è frastornante arrivare nella città vecchia di Gerusalemme il venerdì pomeriggio.
E’ la tempesta prima della quiete, perché quando scende il buio e inizia lo shabbat, gran parte della città tre volte santa piomba nel silenzio. Un silenzio solo apparente perché in realtà nelle intimità delle sinagoghe, in particolare quelle degli ultraortodossi, il giorno di festa si accoglie con canti e balli gioiosi.
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Sono occasioni, queste delle tish, purtroppo proibite ai gentili, i non ebrei, e l’unica opportunità che si ha di capire qualcosa è al muro occidentale, il muro del pianto, dove gli osservanti e gli haredim, gli uomini di Dio arrivati dal quartiere di Mea Shearim, si affollano davanti alle antichissime pietre per pregare e cantare, a migliaia. E, schiacciati sotto i larghi cappelli neri, i colbacchi, dondolano il capo sfiorando il muro al ritmo dei versetti. Accanto, separate da una barriera, le donne che cantano e ballano sorridenti sembrano arrivare da un pianeta distante anni luce. Fra loro c’è anche un gruppo di giovanissime soldatesse in divisa che, appoggiati i grandi zaini, intona melodie ebraiche ballando in cerchio. E’ una scena incredibile e incongrua.
Ma questi sono piccoli mondi di gioia e preghiera, come bolle di vitalità e devozione. Perché nelle vie della città vecchia e della citta nuova in queste ore di buio non c’è proprio nessuno. Solo alcuni ristoranti cristiani sono aperti (la taverna armena nella città vecchia e vari ristoranti italiani, per esempio). Cercando su google saltano fuori addirittura apposite guide per trovare da mangiare nello shabbat. E chi cerca trova, in effetti. C’è per esempio Iwo’s burger su Hillel, che si ostina a prepare tutta la notte gustosi panini non kosher (la fetta di bacon la infilano volentieri) e che pare qualche anno fa sia stato anche incendiato per questo . Wci sono i ristorantini eleganti nella piccola corte al 31 di Jaffa steet, fra i quali spicca una piccola graziosa enoteca, piena di bottiglie e di musica e amata dai locali, Barood. Girando in queste viuzze animate fra Jaffa e Hillel vacilla anche questa maschera di serietà e fervore religioso che è l’aspetto più atteso e anche il più immediato ed evidente per chi arriva a Gerusalemme la prima volta. Dalla finestra di un bar arrivano un rumore di bicchieri e le note di un vecchio pezzo degli Ska-P, Legalizacion che mai avrei immaginato di sentire qua, a poche centinaia di metri dal Santo Sepolcro.

Campanili, moschee, grattacieli e a volte il canto del muezzin si confonde con le campane (foto di Patrick Colgan, 2013)
Il sabato a Gerusalemme
Il riposo dello shabbat a Gerusalemme è comunque una cosa seria. E’ una certezza in questa città frammentata e dai molti volti, dove i giorni di festa sono ben tre (venerdì per i musulmani, sabato per gli ebrei, domenica per i cristiani). Durante il riposo ebraico sono chiusi i ristoranti, i negozi e sono fermi addirittura i mezzi pubblici: sparisce quel sottofondo sferragliante del tram, che tutti gli altri giorni è la colonna sonora di Jaffa street. Gli osservanti non fumano, non fanno fotografie, non cucinano. In alcuni posti addirittura sono fermi pure gli ascensori. La città sembra così sprofondare in una specie di prolungata, raccolta siesta nella quale può anche difficile scegliere cosa fare, visto che molti musei e luoghi ebraici sono chiusi e diventa complicato pure trovare un caffè. Fanno eccezione il museo della torre di David e la passeggiata sulle mura (che Haaretz include fra le 10 cose non ovvie da fare a Gerusalemme) che sono aperti. E’ comunque anche interessante fare due passi a Mea Shearim, il quartiere degli ultraortodossi dove, passeggiando fra la gente vestita con austeri abiti neri sembra di camminare in uno shtetl polacco dell’800. Di sabato è però consigliabile non andare in giro con la macchina fotografica per non urtare la sensibilità dei residenti. Sono pronti, così si legge sul web, a difendere il loro stile di vita anche con la forza. Barricate, sassaiole, acqua gettata dai balconi, cose così. Ragazze vestite in modo ‘inappropriato’ (anche israeliane) sono finite nel mirino dei lanci di pietre di alcune teste calde. E pure polizia e militari sono stati aggrediti in passato perché alcune fazioni non riconoscono nemmeno lo stato centrale.
Ma la giornata si può in realtà sfruttare meglio uscendo da Gerusalemme: è infatti il momento giusto per andare a visitare la Cisgiordania, magari con i tour organizzati da agenzie come Green Olive che il sabato propone Betlemme e Ramallah, oppure – quando la sicurezza lo permette – Hebron. O ancora, come suggerisce Francesca nel suo post su Israele, potete andare a rilassarvi al Mar Morto.
Quando torni, però, non riconosci la Gerusalemme che hai lasciato, specie se era l’unica che conoscevi. Cala il sole, il sabato ebraico si conclude e la città nuova vive un incredibile risveglio, non è la stessa. Tutti i locali di Jaffa street e delle vie intorno sono illuminati, con la gente seduta fra i tavolini all’aperto, c’è grande animazione. E’ il cuore della città turistica, è vero, ma per strada si incontrano un po’ tutti: fra la folla ci sono coppie gruppi di amici, gruppi di osservanti vestiti di nero, gruppi di studenti stranieri, gruppi di ebrei americani giunti col programma birtright*. E poi c’è musica. Stasera non è necessario andare fino al decentrato Yellow submarine, uno dei locali più noti per i concerti live, né tornare da Barood, che spesso ospita band locali. I muri del centro vibrano delle note allegre degli artisti di strada o dei cori di comitive cristiano-evangeliche giunte dall’Asia o dagli Stati uniti, e della musica di gruppi più o meno improvvisati, di anziani che intonano vecchie melodie, mentre ebrei osservanti con la kippah in testa fanno la fila per una shawarma rigorosamente kosher. In Du Nawas street, dove l’animazione e la musica commerciale nei pub invade la strada, si fa fatica a farsi largo fra i giovani, gli studenti di ogni nazionalità che ballano, bevono, fumano sigarette e narghilè. Ed è un’impresa ignorare i pierre dei vari bar, tutti uguali. Il nome sulle insegne è diverso, ma in realtà questa strada è un unico grande pub con i soliti cocktail e i soliti snack sul menù. Dall’altra parte di Jaffa street, a nord, le chitarre distorte di gruppi rock fanno vibrare le pareti dei club ed escono attutite all’esterno, mentre davanti alla porta ragazze tatuate fumano una sigaretta, facendo due chiacchiere prima di tornare all’interno. Il sabato sera di Gerusalemme è lungo e pieno.
Informazioni pratiche
Situazione di sicurezza: molta gente era perplessa se non atterrita quando parlavo del mio viaggio in Israele. E diceva “Proprio ora?”. In realtà la situazione in questa parte del mondo è tesa e tormentata da molti anni, una sessantina. Ovviamente non è un Paese normale e quindi va valutata la situazione politica che cambia da un momento all’altro. Ma è ogni anno di moltissimi turisti e il Paese è estremamente organizzato e accogliente e normalmente molto sicuro.
Per quanto mi riguarda la cosa più estenuante è l’ingresso e l’uscita dal Paese: i controlli in aeroporto sono – giustamente – meticolosi (è consigliato presentarsi all’aeroporto di Tel Aviv almeno tre ore e mezza prima, per davvero). E ricordate che i timbri di Paesi come Iran, Libano o Siria sul passaporto potrebbero suscitare sospetti e controlli supplementari, che possono arrivare fino alla richiesta, in alcuni casi particolari, di controllare il vostro account di email.
Gerusalemme
La via Crucis è organizzata dai francescani e parte quasi ogni venerdì alle 17 dalla prima stazione della via Dolorosa. E’ recitata in inglese, spagnolo e italiano. Ci si può semplicemente unire alle enormi comitive di pellegrini.
Per i concerti a Gerusalemme si può consultare la rivista cartacea Time out, in inglese. Si trova in distribuzione in aeroporto, nei punti di informazioni turistiche e in alcuni locali.
Per un’altra versione della stessa storia, un post su Persorsi e una piccola guida a dove mangiare il venerdì sera.
*il programma Birtright ogni anno porta giovani ebrei da tutto il mondo in Israele per un viaggio spesato
Per continuare a leggere
Gli altri post di Orizzonti su Israele
3 Commenti
Martina: grazie!
Tina: non avevo dubbi a questo punto :)
E anche questa città la condividiamo…
Post bellissimo e letto tutto d’un fiato, lo studierò bene prima della mia partenza ;-) Ciao!!!