Cinque incipit (casuali)

di Patrick Colgan

Ricevo da Lunanuova una singolare catena letteraria. Lei ha scritto cinque incipit di libri che aveva intorno a sé (la medesima catena circolava in versione leggermente diversa). E io la riprendo nello stesso modo, con libri che sto leggendo o ho appena finito e che mi trovo intorno.

Rileggendone le prime pagine, ho scoperto che me le ricordavo. L’incipit, molto più di altre pagine, si tende a ricordare. E se non le parole esatte, se ne ricordano dei frammenti, l’atmosfera, un certo ritmo. E’ l’ingresso nel mondo possibile della narrazione del resto (anche se due… e mezzo sono saggi).

Il problema che ci si trova davanti è: dove termina l’incipit? Wikipedia indica un criterio molto semplice.

L’incipit termina dove il racconto, ormai certo della sua convenzione, si affida unicamente a sé stesso.

Il più bello, fra quelli che riporto, è forse quello di Javier Marìas. Tanto invece ne ho trovato anonimo l’incipit quanto ho trovato bello, finora, l’enorme (quasi 1200 pagine) ‘Giochi sacri’ di Vikram Chandra. Che devo ancora finire. Ma tutti e cinque i libri sono consigliati.

Giochi Sacri, di Vikram Chandra (Mondadori)

Una giornata da poliziotto

Un volpino di Pomerania bianco di nome Fluffy volo giù da una finestra del quinto piano del Panna, un caseggiato nuovo di zecca ancora circondato dalle impalcature degli imbianchini. Fluffy strillò per tutto il volo, con la sua vocina da cagnolino da salotto simile al fischio di un piccolo bollitore bianco, rimbalzò sul tettuccio di una Cielo e finì per schiantarsi in testa ai piedi di una fila di ragazzine che aspettavano lo scuolabus del Saint Mary’s Convent.

Storie di ordinaria falsità, di Paolo Toselli (Bur)

Accadono strane cose

Correva l’anno 1998, quando in Italia si iniziò a prendere coscienza di una curiosa forma di “prodotto collettivo”.

E ciò che più stupiva era che il tutto nasceva e si alimentava non per volere di un’istituzione o di un gruppo di potere occulto, ma per necessità dei singoli. Il mondo anglosassone se n’era accorto da tempo e […] aveva battezzato il fenomeno urban legends.

La valigia di mio padre, di Orhan Pamuk (Einaudi)

La valigia di mio padre
Due anni prima di morire mio padre mi affidò una valigetta piena di suoi scritti, manoscritti e taccuini. Con la sua solita espressione ironica e scherzosa mi chiese di leggerli dopo che se n’era andato; e intendeva dire dopo la sua morte.

Un cuore così bianco, di Javier Marìas (Einaudi)

Non ho voluto sapere, ma ho saputo che una delle bambine, quando non era più bambina ed era appena tornata dal viaggio di nozze, andò in bagno, si mise davanti allo specchio, si sbottonò la camicetta, si sfilò il reggiseno e si cercò il cuore con la canna della pistola di suo padre, il quale si trovava in sala da pranzo in compagnia di parte della famiglia e di tre ospiti.

L’invenzione del quadro di Victor Stoichita (il Saggiatore)

Quadro: immagine o rappresentazione di cosa eseguita da un pittore con pennello e colori. I quadri dipinti su una tela sono più comodi per il trasporto […] i quadri con una bordura fanno miglior figura degli altri. Sono senz’altro i quadri’ tra le curiosità più belle.
(di Furetière 1690)

Ora devo passare la palla. E la passo a Peter, Dontyna, Sauro. E a chiunque altro voglia cimentarsi.

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0 Commenti

patrick Maggio 29, 2007 - 3:00 pm

Con l’università ho finito. E ora leggo solo per diletto. Molte cose diventano irritanti o tediose quando in qualche maniera imposte. E, sì, è un bellissimo libro!

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Elena Maggio 29, 2007 - 2:56 pm

L’invenzione del quadro è un bel libro. Se non lo leggi per un esame all’Università.

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patrickcolgan Maggio 29, 2007 - 10:48 am

simona: lo sto leggendo (ho ripreso a leggerlo, a dire il vero, dopo una breve pausa). E i libri ponderosi non mi hanno mai spaventato. Sono grande e grosso, io. ;)

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Peter Maggio 26, 2007 - 11:46 am

certo che lavoro sodo. se son sempre sudato vorrà dire qualcosa, no?

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ghiaccioblu Maggio 24, 2007 - 7:34 pm

Io intanto ti lascio questo:

“La morte è banale. La si osservi, si sottraggano i suoi modelli e le sue lezioni alla morte causata dalle armi, e il residuo così ottenuto ci mostrerà forse cos’è la violenza. Con questi pensieri in mente ho percorso i lunghi cunicoli delle catacombe di Parigi. Pareti di terra e pietra ricoperte da pareti di resti umani spesse quanto è lungo un femore…”

Pensieri da catacomba, Tre meditazioni sulla morte, da COME UN’ONDA CHE SALE E CHE SCENDE di William T. Vollmann.

Testo in orgine di 7 voll ridotti dall’autore (900 pagine nell’edizione Mondadori Strade Blu. Pesa come due mattoni legati insieme, meglio leggerlo seduti alla scrivania (a letto si rischia di soffocare, in viaggio di non arrivare a destinazione). Però DEVI leggerlo.

Un bacio. E non sgridare il tuo amico P., sta lavorando sodo. :-)

s.

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patrickcolgan Maggio 23, 2007 - 11:18 am

non sei mica obbligato! ma vedo che ultimamente sei a corto di temi (e di post).
ehhehe.

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Peter Maggio 23, 2007 - 11:16 am

scusa, marcello sono io, naturalmente. avevo lasciato la vecchia impostazione. ma la penso come lui…

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Marcello Maggio 23, 2007 - 11:14 am

bastardo.

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dontyna Maggio 22, 2007 - 11:36 am

Sai che non ne ho letti nessuno di questi? Appena sono a casa, con la mia libreria a disposizione, mi prendo volentieri la catena!!

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Sauro Maggio 21, 2007 - 9:48 pm

Messaggio ricevuto, Patrick. Tra l’altro questa catena giunge proprio in un moento di aridità: non so mai cosa scrivere. Grazie per la boccata d’ossigneo, allora :-)

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