Il ‘ragazzo del fulmine’ altri non è che Bill Bryson. Anzi, è dentro di lui. Perché il suo ultimo libro (che chissà quando vedremo in Italia) è una biografia della propria infanzia, e allo stesso tempo un racconto degli anni ’50, un’elegia del ‘piccolo mondo’ americano, delle sue illusioni, delle sue paure, ma anche delle sue bellezze, della sua innocenza (vera o apparente che fosse) . Un mondo che è andato dissolvendosi: un tema caro a Bryson, quello della nostalgia, e che percorre, alle volte anche fra le righe, un po’ tutti i suoi libri sull’America (‘The lost continent’, in particolare).
Bryson prova a guardare il mondo con gli occhi di un bambino, fonde i ricordi con la fantasia, i sogni e frequenta spesso l’iperbole, mescolandola con la realtà. Con un effetto surreale, accentuato da bellissime foto d’epoca e gustosi ritagli di giornale che aprono i capitoli e che giocano di sponda con il tono del racconto.
E’ un libro che fa scoppiare a ridere a metà lettura, una specialità dello scrittore americano. E’ un libro leggero, come Bryson sa scrivere, ma non superficiale, e scritto benissimo e alcune pagini sono irresistibili. Purtroppo andrebbe letto in inglese, le traduzioni italiane le ho spesso trovate inadeguate e, grossolani errori a parte, non restituiscono il ritmo, il lessico raffinato e brillante di Bryson, il suo stile. Si finisce per non capirlo, per non capire la sua chiave umoristica, talvolta un po’ strampalata e colta allo stesso tempo.
Il suo ultimo ‘Breve storia di quasi tutto’, ambizioso libro divulgativo (promosso con una presentazione di Piergiorgio Odifreddi) è forse il suo più grande successo, ma anche il meno convincente dei suoi libri. Troppo ambizioso, finisce per essere spesso semplicistico e la parte più interessante finisce per essere quella, irresistibile, aneddotica. Bello, sia chiaro, un’ottima lettura ma io spero che presto torni a raccontare i suoi viaggi.
Qui il mio precedente post su Bill Bryson.