E’ poco noto in Italia, anche se ora inizia ad essere tradotto, ma in Inghilterra è una celebrità (un po’ meno negli Usa). Vende – moltissimo – senza essere spudoratamente commerciale. Ed è a suo modo inglesissimo, pur essendo, in effetti, americano. Strano? Bill Bryson, giornalista americano che ha vissuto per un bel po’ di anni in Gran Bretagna, ha fatto di questa natura “ibrida” uno stile inconfondibile nei suoi libri di viaggio: ha iniziato scrivendo dell’America con sguardo europeo e nostalgico (“L’america perduta” e poi più avanti “Notes from a big country”) e ha proseguito scrivendo dell’Europa con gli occhi di uno straniero (“Una città o l’altra”, “Notes from a small island”). La chiave è sempre la stessa ma non mostra ancora la corda (anche se viaggia molto meno): uno sguardo stralunato e sorpreso, infantile, ironico, animato da una singolare vena comica che utilizza per prendere di mira se stesso e i paesi che visita. Il viaggiatore-scrittore Bryson soffre. Soffre per il lettore, si sottopone a ogni genere di tortura e di disagio per poterlo raccontare (con una vena che fu anche di Mark Twain).
Si confronta con culture ostili e incomprensibili come quella norvegese o quella scozzese o con situazioni estreme come l’incontro ravvicinato con una medusa australiana o con i francesi. Ho letto accuse di razzismo per il suo modo di scrivere, vedere le differenze fra culture, mettendone in rilievo anche aspetti apparentemente banali o gretti, prendendole in giro con un’ironia tutta inglese. Non è così, non è razzista. E non è nemmeno Terzani o Rumiz, è Bryson. Bryson è capace di raccontare l’esperienza del viaggio in maniera unica e inconfondibile.
Allo stesso tempo Bryson però non dimentica i suoi trascorsi di giornalista: oltre che coltissimo è documentato, ha il gusto dell’aneddoto, delle storie di persone e culture. Se dovessi avvicinarlo a uno scrittore italiano forse, per certi versi, potrei avvicinarlo al primo Severgnini. Ma forse farei anche torto ad entrambi.
L’ultimo libro di viaggio di Bryson “Un paese bruciato dal sole” (Down Under), racconta l’Australia ed è forse uno dei suoi libri migliori: raggiunge l’equilibrio perfetto fra lo sguardo su una cultura ed un paese lontano e l’ironia. In Italia è pubblicato da Guanda, ma ho letto che la traduzione non è molto buona. Un buon motivo per leggerlo in inglese, visto anche che Bryson scrive in un inglese bellissimo (e tutt’altro che ostico, comunque) e che le traduzioni in genere non riproducono molto bene il suo ritmo brillante. Non è certo un caso che sulla sua lingua madre abbia scritto uno splendido saggio, “Mother Tongue“. Un libro serio, accademico, ma con un’ispirazione divulgativa che si è espressa appieno nella sua breve storia del mondo e della scienza: “A short history of nearly everything“.
Il sito ufficiale-> Bill Bryson official site
3 Commenti
E’ vero è poco noto, e secondo me non è tradotto bene (forse la migliore è quella di l’America perduta per Feltrinelli). Alcune fra le mie pagine preferite sono in ‘una città o l’altra’ quando parla dello european rail timetable della Thomas Cook, e dell’immaginare e sognare leggendo i nomi di stazioni remote, guardando tracciati di ferrovie lontane. La scoperta è proprio uno dei motivi che mi spinge a viaggiare.
a presto!
scopro solo ora questo bellissimo post su bill bryson, effettivamente poco noto in Italia e bistrattato dalle grandi librerie. Io l’ho scoperto da poco e non faccio altro che divorare uno dopo l’altro i suoi libri ma mi rendo conto di come alcuni libri siano introvabili a patto di girare tutte le piccole librerie della mia città o comprarli su internet.
Comunque adoro il suo modo di viaggare e di raccontarlo. Più di una volta mi sono trovato a sognare ad occhi aperti a viaggiare insieme a lui, rendendomi conto di quanto fosse riuscito a farmi immedesimare nel paesaggio.
Adoro viaggiare e adoro bryson, mi piacerebbe andare insieme a lui nel suo prossimo viaggio!
I love reading Bill Bryson as well.