L’aumento del turismo a Kyoto

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Come cambiano l’antica capitale e il Giappone negli anni dell’aumento vertiginoso dei visitatori. Riflessioni che valgono anche per il resto del Giappone. E, in fondo, tre conclusioni. Cliccando sui link nel testo troverete numerosi approfondimenti

C’è una porta chiusa, senza insegna. Mi sono sicuramente sbagliato, penso.  E invece no, mi guardo attorno e mi rendo conto che un altro posto che amavo non c’è più, anche il ristorante Takasebune ha chiuso. E’ sparito il remo appoggiato accanto alla porta che richiamava le vecchie barche sul canale, non c’è l’insegna datata. A Kyoto mi era già successo: avevo girato tutta una sera fra i vicoli alle spalle del centro pregustando i piattini di un’izakaya teatro di serate memorabili e tutte le volte mi ritrovavo davanti a un locale elegante che esponeva un menù in inglese.
Pensavo di essermi confuso: l’assenza di nomi di molte strade e l’aspetto ripetitivo di larghe parti della città in Giappone a volte confondono, ti fanno sentire più smarrito di quanto tu sia davvero.

Poi mi ero dovuto arrendere: al posto della vecchia izakaya c’era davvero un nuovo ristorante fighetto. In Giappone, mi hanno detto, è sempre successo: i locali cambiano, si spostano, interi edifici vengono abbattuti da un giorno all’altro. Ma nell’antica capitale giapponese, dove torno almeno una volta all’anno, il cambiamento è visibile anche a un occhio forestiero come il mio e mi sembra che stia accelerando: i locali che spariscono sono solo uno degli aspetti più evidenti. Succede anche altrove, a Tokyo è cambiato completamente in pochi anni il vecchio quartiere di Golden Gai, che era come un mondo a parte. Ora è solo un posto dove bere. Il motore principale di questo processo che sta modificando il volto, l’atmosfera, il suono della città è semplicemente il turismo, che sta aumentando da anni in modo vertiginoso, anche a grazie alle politiche di promozione messe in campo dal governo.

Tempo fa ho scritto che amo tornare sui miei passi, nelle stesse città, negli stessi posti. Mi piace trovarmi a casa dall’altra parte del mondo, fingere di vivere altrove, riconoscere e provare un senso di familiarità per un negozio, una via periferica. E sono anche disposto ad accettare l’inevitabile cambiamento, il fatto che i luoghi si modifichino incessantemente e che un certo posto, un incontro, una certa emozione che ho provato non saranno tanto legati a un luogo, ma a un luogo e a un momento nel tempo, legati in maniera indissolubile. E il tempo non torna.

Però questo è qualcosa di diverso. Forse è tutto solo nella mia testa, ma avverto un senso di pericolo e di perdita. A volte stento a riconoscere la città.
Il flusso turistico di cui, è bene ricordarlo, siamo parte anche quando ci raccontiamo di essere viaggiatori, ha un impatto profondo. E’ evidente che i turisti abbiano bisogno di servizi e che ci sia chi desidera legittimamente guadagnarci. Ma ogni volta che apre un posto dedicato specificamente agli stranieri al posto di uno che aveva una storia, che era parte di una rete di legami con chi nella città ci vive, si perde qualcosa. E così succede ogni volta che un appartamento dove viveva qualcuno diventa un appartamento in affitto su un sito.

Ninen-zaka in una giornat invernale, di scarso afflusso (foto di Patrick Colgan, 2014)

Ninen-zaka in una giornat invernale, di scarso afflusso (foto di Patrick Colgan, 2015)

Io lo vedo questo processo, sta avvenendo anche nella mia Bologna che ha cominciato a ricevere grandi quantità di visitatori stranieri solo da pochi anni. In Laos, a Luang Prabang, una città fragilissima, sottoposta a una pressione turistica eccessiva, una guida me lo ha raccontato in maniera chiara: “Ormai nessuno vive più in centro, i costi sono troppo alti: stiamo tutti in periferia”. Non stavo più camminando in un centro vivo, ma in qualcosa più simile a un museo.

Paradossalmente gli unici luoghi ancora davvero vivi, che non erano stati snaturati, erano i templi, rimasti attraverso i secoli luoghi di studio e preghiera. I monaci, pensai, erano gli ultimi veri abitanti del centro di Luang Prabang.

Il turismo, insomma, può portare lavoro, può anche salvare alcuni posti, in certi casi, ma può anche distruggere tutto, lasciare un deserto.
Perché devo attraversare il mondo, mi chiedo a volte, per trovarmi in un posto dove ci sono solo stranieri come me?

Come sta reagendo Kyoto

L’aumento del turismo a Kyoto è stato fortissimo, il numero dei turisti è raddoppiato in pochi anni fra 2013 e 2015 e continua a crescere. E in città si discute molto di come gestire il fenomeno. Si parla addirittura di organizzare eventi e attività serali per allungare le giornate dare qualcosa da fare ai turisti (è una città che ‘chiude presto’ e la cui vita notturna non è paragonabile a Tokyo o Osaka).

A ottobre entrerà in vigore anche una nuova tassa di soggiorno proporzionale al costo della camera (200 yen a testa per gli alloggi fino a 20.000 yen a persona è la fascia più bassa, che non credo sforerò mai). Forse è più un modo di ottenere risorse che di limitare gli accessi. Ma i turisti già portano molti soldi, in particolare gli onnipresenti cinesi, che spendono molto, a volte cifre folli: per loro si usa il termine bakugai, acquisti esplosivi. Sono ormai più del 30% dei visitatori della città. E anche se le loro abitudini (per esempio il parlare a voce molto alta) stridono con le consuetudini giapponesi, sono tollerati anche perché sono, in fondo, ottimi clienti.

Turisti a Kyoto

Turisti a Kyoto (foto di Patrick Colgan, 2018)

Ma molti residenti, nel frattempo, stanno vivendo il passaggio a grande destinazione turistica con un po’ di sofferenza. I turisti sono tanti, innanzitutto. Ma a volte sono anche chiassosi, irrispettosi e non si adeguano alle regole di convivenza che regolano la vita giapponese.

Come gli abitanti di Kyoto stanno vivendo questo periodo me lo ha raccontato  qualche anno fa un ragazzo che mi aveva rivolto la parola mentre ero a mollo nell’acqua bollente di una vasca all’aperto del Funaoka onsen. Voleva fare conversazione per imparare l’inglese e lavorare nel settore del turismo. E allora ci eravamo messi a parlare di questo tema: “Nessuno prende più il bus”, mi aveva detto, “sono troppo pieni, ora vanno tutti in bici”. Era vero. E io gli avevo buttato lì una battuta della quale forse, a giudicare dall’espressione seria e attenta che mi aveva rivolto, non aveva colto l’ironia: “Basterebbe assomigliare un po’ di più a Tokyo – gli dissi -, scavate una metro che arrivi al Padiglione d’oro, che è così fuori mano, e avrete risolto i vostri problemi”.

Gli avvisi agli stranieri

Anche i giapponesi hanno provato a usare un po’ di autoironia per insegnare agli stranieri come ci si comporta, tradendo però un po’ di esasperazione per il comportamento degli stranieri. Un esempio è un volantino distribuito negli hotel e intitolato Akimahen (proibito, in dialetto locale). La copertina mostra un gruppo di residenti imbronciati e un avvertimento “I cittadini di Kyoto sono piuttosto pignoli!”. Fa ridere e i disegni sono adorabili, ma è il tipo di cose che non mi fa sentire esattamente il benvenuto, giudicate voi.

 

Poi si leggono una serie di avvertimenti su vari temi:

  • Pillole di codice della strada, con le maximulte e rischio di reclusione per chi va in bici ubriaco, per esempio
  • Cose che dovrebbero essere dettate semplicemente dal buon senso (ed evidentemente manca a molti) come comportarsi in maniera rispettosa nei templi. Ma anche lasciare i sedili riservati alle persone anziane sui bus ed evitare di cancellare le prenotazioni nei ristoranti all’ultimo minuto o non presentarsi proprio. Quest’ultima abitudine, fra l’altro, ha reso molti ristoratori diffidenti nei confronti degli stranieri e non posso biasimarli
  • E infine ci sono aspetti più culturali come “non lasciate mance ai tassisti, non si fa!” … avete capito bene!

Si può buttare il discorso sull’ironia, ma che ci sia una sofferenza è innegabile. “C’è molta tensione – mi racconta Sasori, pseudonimo di uno scrittore e blogger italiano che vive in città -, davvero molta”. Il famoso santuario Yasaka, dove ci siamo incontrati per fare due passi a Kyoto, è pieno di visitatori rumorosi e irrispettosi. Mi mostra anche che è stato chiuso il convenience store di fronte al santuario, famoso perché non aveva il classico colore della catena, ma le tonalità scure delle vecchie machiya di Gion, l’antico  quartiere del quale segnava l’inizio.
“In questa zona c’era troppa confusione – mi spiega Sasori – così lo hanno fatto chiudere. Ora ha aperto una specie di farmacia, dove vanno solo i giapponesi. Stanno cercando di mettere ordine”. Il santuario è rumoroso e affollato, ma appena ci allontaniamo lungo il fianco di Higashiyama, le verdissime colline che costeggiano il fianco orientale della città, scrigno di alcuni dei posti più belli dell’antica capitale, spariscono improvvisamente tutti. E Kyoto ritorna la Kyoto che amo.

 

 

Al tempio Honen-in, uno dei templi più belli di Kyoto, non c’era nessuno

 

Prima conclusione: viaggiare in Giappone sta diventando  più facile (ma a che prezzo?)

L’aumento del turismo in Giappone ha avuto conseguenze pratiche. La diffusione di servizi per stranieri, il proliferare di cartelli e menù in inglese sta rendendo sempre più facile visitare il Paese e in un certo senso è positivo. Ma tutto questo ha un prezzo nel senso che se cambi qualcosa, sparisce quello che c’era prima. Ha senso, mi chiedo, andare in Giappone per non provare nemmeno un po’ di senso di smarrimento? Ha senso ordinare un fried rice o uno spicy ramen?
Nel suo libro Il Ciclope, Paolo Rumiz racconta che anche solo un menù in inglese contribuisce a far sparire le parole, perché ordinare un fried cheese in Grecia invece che un saganaki? Lo sforzo richiesto è così superiore?

I giapponesi, da parte loro, stanno interpretando in maniera a volte discutibile l’idea di rendere il Paese più accogliente (lo era già, fra l’altro). La vecchia, bellissima, stazione di Harajuku a Tokyo, uno chalet in mezzo alla metropoli, verrà demolita e ricostruita in tempo per accogliere i visitatori delle Olimpiadi 2020.

E sempre in tema di Giochi del 2020 si stava pensando di cambiare il simbolo, una svastica rovesciata (che è un simbolo buddhista), che indica i templi sulle onnipresenti cartine. Tutto per non offendere i visitatori. Questo però pone al centro anche la natura stessa del viaggio:  ha senso viaggiare per trovarsi in un Paese nel quale non ci si deve porre nemmeno una domanda, nel quale è tutto comprensibile? Se voglio tutto in inglese, dai menù alle indicazioni stradali non dovrei forse andare negli Stati Uniti?

Alex Kerr racconta che sono stati proprio gli stranieri a chiedere di porre fine a una brutta abitudine del tempio Ryoanji che diffondeva informazioni turistiche dagli altoparlanti. Rendendo impossibile apprezzare il giardino zen.

Kyoto durante la fioritura dei ciliegi

Kyoto durante la fioritura dei ciliegi (foto di Patrick Colgan, 2014)

Seconda conclusione: usare rispetto e buon senso

Questo vale sempre e si può riassumere in un concetto molto semplice: dobbiamo comportatci bene, specialmente quando viaggiamo perché le conseguenze delle nostre azioni in un’altra cultura, in un altro ambiente possono essere imprevedibili. Cerchiamo di limitare il nostro impatto sul Paese che visitiamo. Quando siamo in viaggio, in qualsiasi città, cerchiamo di portare rispetto a chi ci vive, di adattarci agli usi e costumi locali e cerchiamo sempre di ricordarci dove siamo: il famoso santuario Fushimi Inari Taisha, famoso per le sue ‘gallerie’ di portali torii rossi non è solo un luogo bellissimo e ideale sfondo per fotografie, ma anche un luogo sacro.

E poi, come suggeriva Rumiz, quando possibile, cerchiamo di imparare qualche parola nella lingua locale. Spesso può essere inutile, ma a volte avvicina, crea una connessione. Fatelo anche per voi, è più facile di quanto possa sembrare e renderà il vostro viaggio più pieno.

Terza conclusione: non ci sono solo i luoghi più famosi

Su Facebook mi è capitato di leggere ironie su chi chiedeva indicazioni su luoghi non turistici, come se fosse un esercizio di snobismo un po’ naif. “Se sono turistici è perché sono i posti più belli” aveva scritto qualcuno in risposta. C’è un fondo di verità e alle volte queste richieste sono banali, non dobbiamo dimenticare che siamo in fondo turisti anche noi.

Ma è anche vero che viaggiare non è solo vedere e nei luoghi turistici, di solito, puoi fare poco altro (Alain de Botton nel suo libro L’arte di viaggiare ci invita comunque a usare tutti i sensi). Viaggiare però è anche altro. Per me è anche incontrare, immergersi in un altro Paese, smarrire un po’ di certezze, cosa impossibile quando sei circondato solo da stranieri.

Però bisogna fare un piccolo sforzo, aspettarsi tutto pronto è esattamente l’atteggiamento che porta alla standardizzazione, all’affollarsi negli stessi luoghi con una guida in mano. Basta, a volte, fare un po’ di ricerca, leggere, approfondire e trovarseli da soli i posti fuori dalle strade più battute. E’ pieno di blog (mica solo il mio), guide e libri ricchi di spunti. Sì, anche su una qualsiasi guida potrete trovare località meno note. Ma negli itinerari vedo sempre gli stessi posti.

Jorakuji

La pagoda dell’antico tempio Joraku-ji, immerso nel bosco a quaranta minuti da Kyoto (foto di Patrick Colgan, 2016)

Forse anche per questo, perché mi hanno regalato un’immersione differente nel Paese, negli ultimi viaggi mi sono innamorato profondamente del Kyushu e della penisola di Kii, camminando sui sentieri del Kumano Kodo, in zone bellissime ma più marginali del Giappone, dove la presenza di stranieri attira ancora sguardi incuriositi. E poi vicino al lago Biwa, a mezz’ora di treno da Kyoto.
È in questi posti che negli ultimi anni il Giappone mi ha regalato le esperienze più belle e gli incontri più veri (andate nell’area di Nagasaki, per esempio).

L’altra Kyoto

Ma anche a Kyoto è sufficiente camminare un po’ e sfogliare con un po’ di attenzione le guide, basta insomma allontanarsi un po’ dalle strade più battute per ritrovarsi praticamente soli. E in luoghi che per bellezza, e a volte anche per la loro storia, non hanno molto da invidiare ai più famosi e frequentati. Esplorate, insomma, il Giappone è grande. E pure Kyoto vi riserverà ancora incredibili sorprese. Avete mai sentito parlare del tempio Honen In per esempio? E del giardino zen del Daisein in?

Se poi volete vedere la Kyoto classica preparatevi a un po’di folla: qui la mia guida per vedere Kyoto in tre giorni (pochi, ma è la base)

 

⇒⇒ Sul tema ho scritto anche il post: Giappone, otto posti per sfuggire alla folla

Cosa ne pensate? Lasciate un commento, mi piacerebbe leggere la vostra opinione

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8 Commenti

Giulia M. Novembre 16, 2018 - 11:04 pm

Sono perfettamente d’accordo. Io ho fatto quattro viaggi in Giappone dal 2010 a oggi, e pur rimanendo sempre tra Tokyo e Kyoto ho notato differenze significative, anche “solo” partendo dalla questione dei cartelli e menù in inglese. Un esempio classico è anche Akihabara, nel suo piccolo: nel 2010 quasi nessuno che io ricordi parlava inglese, e gli stranieri non erano poi molti. A capodanno scorso c’era un’infinità di occidentali, in molti negozi i prezzi erano gli stessi degli stand di Lucca Comics (!) e i commessi ti parlavano in inglese tutto il tempo. È bastato andare in un negozietto dietro la via principale per ritrovare quel tipo di esercizio commerciale dove comunichi a gesti e le action figure hanno prezzi che a un’appassionata occidentale di primo acchito sembrano impossibili, ma il cambiamento è palese e visibile.

La questione della svastica e quella delle modifiche drastiche ai luoghi sono molto, molto più gravi e a pensarci ci sto male. Non auguro al Giappone di perdere una serie fonte di reddito come il turismo, però mi auguro che passate le Olimpiadi “la moda” del Sol levante un pochino si allenti e loro riescano a trovare un equilibro che non danneggi irreparabilmente tanti aspetti del Paese.

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One Two Frida Agosto 29, 2018 - 1:48 pm

Che lettura precisa che hai fatto! Complimenti, come sempre!
Ma davvero abbattono la stazione di Harajuku? Mi viene da piangere.
Io sono d’accordo con te sul fatto che un viaggio in Giappone DEVE necessariamente comportare un minimo di spaesamento, quella sensazione di “oddio, non capisco nulla”, quel perdersi per le strade e ordinare piatti sconosciuti. È il motivo per cui mi sono innamorata dal Giappone (uno dei motivi, a dire il vero), ma rendere tutto a portata di turista sicuramente snatura e fa perdere un po’ l’identità del luogo. Sono d’accordo sul fatto che anche il viaggiatore in fin dei conti è un turista, però quello che vedo negli ultimi anni è una gran folla di visitatori “mordi e fuggi”, attratti quasi dalla moda, che vogliono vedere i luoghi che hanno già visto su Youtube in mille video tutti uguali e non hanno la minima intenzione di approfondire e conoscere una cultura così bella e complessa come quella giapponese. Si tende a semplificare, a banalizzare, e in questo meccanismo si perde tanto.

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Chiara Agosto 22, 2018 - 5:58 pm

A me spiace sentire queste parole perché andare in Giappone sarebbe un grande sogno che al momento, per questioni economiche, non mi posso permettere, però è stata la sensazione che ho avuto anch’io sai? Pur non essendoci mai stata, ovunque sento e vedo blogger e non, tutti diretti verso il Giappone e tutti che vanno a vedere le stesse cose….fino a qualche tempo fa il Giappone non mi sembrava una meta tanto ambita! Sicuramente deve essere lo stesso stupendo questo paese perché le foto che vedo parlano da sé, però un po’ mi sta scappando la voglia, se devo essere sincera! Chissà, magari ora che avrò racimolato abbastanza soldi per andarci, cambierò destinazione all’improvviso
Grazie per i tuoi articoli sempre molto interessanti, di spessore con argomenti particolari e fuori dal comune!
Chiara.

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patrickcolgan Agosto 22, 2018 - 9:15 pm

Non voglio toglierti un sogno. Kyoto è sempre bellissima e, come scrivo, basta allontanarsi un po’ dalle zone più visitate per ritrovare la sua atmosfera. E il Giappone è grande, nel mio blog dovresti trovare un po’ di spunti, validissimi anche per un primo viaggio. Per dire, nel kumano kodo (di cui ho scritto di recente) ho incontrato molta gente al primo viaggio in Giappone. Non è detto che si debba per forza visitate Tokyo-Kyoto-Hiroshima, anzi…
E grazie per le parole gentili sul mio blog!

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Ylenia Agosto 20, 2018 - 4:52 pm

Bella riflessione! In realtà credo valga un po’ per tutti i paesi/città che hanno a che fare con il turismo..o meglio, credo valga un po’ per tutti i paesi in genere. Ricordo un’intervista di Terzani sul Myanmar, se non sbaglio, dove lui stesso diceva che per quanto terribile, la dittatura aveva comunque preservato il paese dal contatto con il modello occidentale, evitando l’arrivo, ad esempio, delle catene delle multinazionali: il problema, credo, non sia solo il turismo in generale ma una certa omologazione dei modelli di riferimento. I paesi si sono sempre influenzati a vicenda ma oggi le distanze si sono notevolmente accorciate e questo ovviamente ha conseguenze sui modelli di vita e anche sulle realtà urbane…per non parlare degli interessi economici. Ecco, questo secondo me è il vero problema: il fatto cioè che, spesso, per favorire grandi realtà si sacrifichi gli aspetti più tipici e caratteristici di un paese/città e in questo la politica potrebbe invece cercare di porre un freno. la notizia che mi hai dato sull’abbattimento della stazione di Harajuku è davvero folle, a mio parere: quello che è sempre stato un simbolo, caratteristico, in quanto unico, dovrebbe fare posto a qualcosa di anonimo. Capisco la necessità di accogliere una maggiore mole di visitatori ma si può farlo preservandone la peculiarità. Maggiori flussi vogliono dire probabilmente maggiore possibilità per gli abitanti di una realtà di vivere meglio, ma lo si potrebbe fare comunque preservando le proprie differenze. E sarebbe una sfida molto più interessante da affrontare, secondo me.

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patrickcolgan Agosto 22, 2018 - 9:21 pm

Questo è un aneddoto che ho raccontato più volte. Un ristoratore di Venezia, un po’ in imbarazzo, si giustificò dicendo che faceva gli spaghetti invece che i bigoli in salsa perché questi ultimi ci mettono venti minuti a cuocere e gli stranieri che non capivano si sarebbero lamentati su tripadvisor. Inoltre, ho pensato io (forse pensando male, certo), gli spaghetti sono più noti, e cuocendo in più fretta poteva liberare i tavoli più in fretta e risparmiarsi molte spiegazioni. Non è facile trovare un equilibrio fra il desiderio di guadagnare e avere problemi e la propria cultura e le proprie tradizioni. Però ogni volta che si arretra, anche solo con uno spaghetto che non c’entra con la tradizione, è una sconfitta. Se anche noi non difendiamo le nostre tradizioni…
Io vado in un altro Paese per pormi delle domande, per provare sapori radicalmente diversi, non per trovarmi una realtà ‘addomesticata’. Forse servirebbe un’educazione al viaggio, forse bisognerebbe partire un po’ meno alla leggera per Paesi lontani. Sono problemi senza soluzione probabilmente. Però un equilibrio bisogna cercare di trovarlo.

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Paola Agosto 19, 2018 - 10:06 pm

In effetti è proprio vero quello che hai scritto! Quando ho visitato il Giappone mi sono sentita un po’ smarrita, fortunatamente, ma mi capita spesso di provare le sensazioni che hai descritto, soprattutto quando visito le grandi città, che sembra stiano diventando tutte molto simili, a misura di turista, perdendo la loro unicità.

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patrickcolgan Agosto 22, 2018 - 9:12 pm

Fortunatamente il Giappone è grande e pieno di meraviglie da scoprire. Ma dovrebbero evitare di rinunciare alla loro unicità per venire incontro ai turisti. Trovare un equilibrio fra il legittimo desiderio di guadagnare e il mantenimento della propria cultura è difficile, e passa anche per l’intelligenza dei visitatori. Anche se molti sono maleducati o poco rispettosi bisogna cercare di fare la propria parte.

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