Angkor, il sorriso del Bayon al tramonto

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Il tempio più bello di Angkor, il Bayon, e i suoi duecento volti. E perché sono tornato una seconda volta

Alle volte succede che con un posto, una città, un’isola, non ci sia sintonia. O che resti un senso sgradevole di incompletezza perché un luogo è muto: non ci ha detto niente. Resta solo un’altra cartolina che ingiallirà nella memoria fino a sbiadire. L’esperienza di un posto dipende in effetti da molte cose. Dipende dal luogo, ovviamente, e dipende da noi, dal nostro umore, ma anche dal momento della nostra vita e da tutte le esperienze precedenti che abbiamo vissuto. Dipende dagli incontri. E poi, ovviamente, che un posto ci piaccia o ci emozioni o meno dipende anche dalle circostanze esterne.  Può dipendere dalla pioggia, dalla nebbia o dal troppo caldo. Oppure da  un pullman strapieno di chiassosi turisti cinesi di mezza età, interessati a tutto, pare, fuorché al posto in cui si trovano.

Ed è quello che mi è successo al Bayon, forse il più bello e originale dei templi del complesso di Angkor.

Non sempre si ha la possibilità di tornare, di riprovare, di attendere che le condizioni mutino’. A me piace, ma a volte me ne dimentico. E mi capita di pensare che forse dovremmo darci più tempo nei posti, sempre. Un po’ come i fotografi che aspettano anche un giorno (o una settimana) per fare una fotografia con la luce giusta, non è detto che il momento in cui arriviamo in un posto sia quello perfetto per capirlo o perché ci riveli quel minimo che ci potrebbe rivelare se solo provassimo ad ascoltare.

Bayon, complesso di Angkor, Cambogia

Bayon, complesso di Angkor, Cambogia (foto di Patrick Colgan, 2015)

La visita del Bayon

La prima volta siamo arrivati al Bayon intorno alle 9, dopo aver visitato Angkor Wat e abbiamo detestato praticamente tutto. Non era tanto la quantità di gente, perché ad Angkor ci si fa i conti da subito e ci si mette il cuore in pace. Erano piuttosto le urla, la maleducazione, gli schiamazzi (mica solo dei cinesi, sia chiaro) che continuamente si introducevano nei pensieri, scompigliandoli, monopolizzando la mia attenzione. Cercavamo silenzio senza trovarlo e visitatori rumorosi sbucavano da ogni angolo, da ogni finestra dell’antico edificio. La sensazione di essere in un posto speciale in un momento così sbagliato era angosciante.

Fortunatamente avevamo deciso di dedicare tre giorni ad Angkor. Così siamo tornati il giorno seguente, verso il tramonto, praticamente solo per visitare questo posto che ci aveva lasciato un senso di disagio. Per quanto in tanti suggeriscano itinerari alternativi, gran parte dei tuk tuk e dei pullman fanno sempre lo stesso itinerario, con tempi e orari simili. E così ci siamo ritrovati quasi soli, mentre il sole illuminava i volti del tempio con una luce calda.

I volti del Bayon

Non è una metafora. Il tempio, dalla struttura complicata, ha davvero dei volti, sono oltre duecento. Costruito nel tredicesimo secolo, fra gli ultimi di Angkor, il Bayon era un tempio di Stato ed è all’interno del recinto di quella che fu la capitale, Angkor Thom. Fu più volte ampliato e modificato e porta i segni di questa crescita irregolare.

Bayon, complesso di Angkor, Cambogia

Bayon, complesso di Angkor, Cambogia (foto di Patrick Colgan, 2015)

Bayon, complesso di Angkor, Cambogia

Bayon, complesso di Angkor, Cambogia (foto di Patrick Colgan, 2015)

 

Il Bayon ha bellissimi bassorilievi, dinamici e vitali, ma sua caratteristica più evidente sono proprio i volti sorridenti che guardano nei quattro punti cardinali dalle 37 torri rimaste (su 54 che un tempo erano presenti). Sono volti enigmatici, di una grande serenità e dolcezza, il cui sorriso è appena accennato. Alcuni sono ancora in perfette condizioni, di altri si intuisce appena il profilo o sono rimaste solo le labbra, che sembrano cercare di uscire dalla enorme massa di pietra.

Tempio che vai, spirito che trovi. Eccoci al Bayon, famoso per gli occhi di pietra che osservano il visitatore da lontano. Il posto ribalta la prospettiva: non sei tu a guardare il monumento, ma è lui che guarda che te (Letizia su Persorsi)

A guardarci dalla pietra è’ il bhodisattva Lokeshvara, il compassionevole. Ma allo stesso tempo, visto che il Bayon si trovava al centro della capitale, i volti potrebbero rappresentare anche il re Jayavarman VII che estende la sua pietà sui sudditi. Un’identificazione fra due figure che “materializza l’onnipresenza della divinità e quella del sovrano, che sulla terra realizza le opere che attuano il misericordioso disegno divino”, scrive la nostra guida Polaris. Propaganda, insomma.

Tutta l’arte antica andrebbe interpretata nel suo contesto storico. Ma gli artisti sono capaci di lasciare il segno anche nell’arte di Stato, lo hanno fatto per millenni, a tutte le latitudini. E di comunicare. In queste espressioni c’è qualcosa che oltrepassa i secoli e i millenni e che dice qualcosa anche a chi vive oggi, a quasi mille anni di distanza. Non è solo il vago misticismo evocato a un occhio occidentale da un sorriso ultraterreno, ma qualcosa di molto più umano. Nel complesso di Angkor ci sono altre statue, bassorilievi, testimonianze, ma questo è stato il primo momento in cui ho provato una connessione con i khmer che un tempo vissero in questo luogo.

Il segreto, se c’è, è semplicissimo da svelare: l’emozione trasmessa da un sorriso è universale e non cambia nel tempo.

Visitare il Bayon, complesso di Angkor, Cambogia

Bayon, complesso di Angkor, Cambogia (foto di Patrick Colgan, 2015)

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2 Commenti

patrickcolgan Ottobre 11, 2017 - 11:08 am

Ti ringrazio moltissimo e mi fa piacere che il post sia piaciuto a un viaggiatore come te, che conosce bene il sud est asiatico. A presto!

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Roberto Ottobre 11, 2017 - 10:44 am

Ben detto Patrick !! Purtroppo a volte non si ha il tempo di aspettare e le comitive di cinesi sono una vera iattura. Complimenti per l’ottimo articolo sul Bayon. Tempio a me molto caro, quasi preferito ad Angkor Wat.

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