Sulla strada per Amboy, California

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Guidare nel deserto della California fra Joshua Tree e Death Valley. Tappa ad Amboy, paese fantasma sulla Route 66

Non amo guidare a lungo, anche se questa macchina sembra andare da sola, fra cambio automatico e cruise control. La strada che si distende nel deserto, sovrastata da un cielo vastissimo fa anche un po’ paura, in realtà. Sento l’ostilità dell’ambiente che ci circonda, immagino le sensazione tattili che proverei toccando le pietre, gli arbusti, la polvere in cui siamo immersi: tagliente, pungente, ruvido. Eppure c’è una parte di me che vorrebbe che questa striscia di asfalto distesa per centinaia di miglia fra sabbia e roccia non finisse mai, vorrebbe rallentare il tempo, ricordare ogni sfumatura di questo paesaggio che cambia con estrema lentezza. E invece, se vogliamo arrivare al motel prima che sia notte fonda, dobbiamo andare avanti.

Pensavo che tornare in California avrebbe tolto la patina di magia irripetibile che aveva ricoperto i ricordi della mia prima volta, anni fa. E invece l’emozione non cambia: guidare nell’ovest degli Stati Uniti non è semplicemente un trasferimento, un tempo morto. È una parte fondamentale del viaggio.

Per noi europei di città, abituati a passare le nostre giornate con uno schermo davanti agli occhi o comunque in posti molto urbanizzati, in strade chiuse dai palazzi a destra e a sinistra è impossibile in Texas non restare impressionati da quanto l’orizzonte sia lontano in qualsiasi momento, da quanto il deserto sia vasto a perdita d’occhio, da quanto sia effettivamente possibile, in qualsiasi momento, riempirsi gli occhi con una quantità di cielo che dalle nostre parti è difficile trovare.
(Francesco Costa, nel podcast Da Costa a Costa. Parla del Texas, ma in California non è, credo, molto differente)

Il parco Joshua Tree è alle spalle. Siamo diretti a nord, verso un altro deserto, la Death Valley e abbiamo imboccato la Amboy Road, una strada che si infila nel deserto del Mojave e si smarrisce nell’orizzonte. Sono già stato qui, non posso dimenticare il panorama. Ma è tutto diverso. L’altra volta era agosto. Le temperature erano roventi e avevo preso alla lettera i cartelli che suggerivano di spegnere l’aria condizionata per non fondere il motore. Auto abbandonate nel nulla a lato della strada suggerivano di prender sul serio la segnaletica. E così la meraviglia suscitata dal paesaggio si era fusa con una leggera tensione, il timore di restare a piedi in mezzo al nulla. In genere, in innumerevoli film, è l’inizio di grossi guai.

Questa volta è tutto diverso: è l’inizio di dicembre e non ci sono più di 19, 20 gradi. La luce è completamente diversa, fredda, l’aria cristallina. È la tonalità bellissima e malinconica dei pomeriggi del tardo autunno che sembrano un lungo preludio al tramonto: è una luce dorata che sembra mostrare l’essenza stessa delle cose. L’ambiente resta ostile, pauroso. Ma la sua bellezza brilla come un diamante.

Amboy e il Roy’s Cafe

Arriva dopo ore di nulla e quasi non ci credi. In estate veder apparire il Roy’s cafè in mezzo al deserto che ribolle è simile a un miraggio che si materializza. Ha qualcosa di miracoloso il solo fatto di trovarlo lì in mezzo al Mojave, specie se non te lo aspetti, se non lo hai segnato sull’itinerario. Nel mio primo viaggio fu così. Siamo ad Amboy, storica tappa della Route 66 sovrastata dall’iconica insegna di Roy’s, innalzata nel 1959 e conservata tale e quale (più o meno, diciamo).

Amboy non si può più definire un paese, conta una decina di edifici e appena quattro residenti. Qui si può fare benzina (cara, ma a volte indispensabile) e comprare una bottiglia d’acqua, possibilità tutt’altro che frequente su queste strade. E’ praticamente un paese fantasma e oggi è di proprietà dell’imprenditore Albert Okura, amante della Route 66 che ha riaperto e restaurato Roy’s.

La bellissima insegna del Roy's Cafe
La bellissima insegna del Roy’s Cafe è del 1959. Il locale è però stato aperto nel 1938 (foto di Patrick Colgan, 2017)
La stazione di servizio del Roy's Cafe
La stazione di servizio del Roy’s Cafe nell’accecante luce di agosto (foto di Patrick Colgan, 2008)

Ma questo posto non è sempre stato così. Amboy conobbe un piccolo boom legato al turismo (Wikipedia racconta che arrivò addirittura a 700 abitanti negli anni ’50!) e agli automobilisti di passaggio, numerosi nel secolo scorso, poi drasticamente diminuiti dopo l’apertura della nuova strada Interstate 40 che tagliò fuori, anche se solo di pochi chilometri, l’abitato. Ricorda qualcosa? È più o meno la storia di Cars, il film della Pixar ambientato in un luogo molto simile (e simile a tanti altri) sulla Route 66.

Testimonianza di quegli anni sono le casette del motel. Oggi è chiuso, ma mantenuto come se fosse un museo. La reception, con un elegante tetto inclinato modernista, è una piccola bolla di anni ’50 perfettamente conservata: la porta a vetri è chiusa, ma l’impressione è che l’addetto se ne sia andato soltanto un attimo per andarsi a fare un drink al bar.

Qui non c’è altro, oltre ai lunghissimi treni merci che, questi sì, transitano ancora da queste parti. Amboy nacque, infatti, alla fine dell’800 come stazione che riforniva d’acqua i treni che percorrevano la Santa Fe Railroad, una lunga ferrovia che attraversa il deserto del Mojave. Qui vicino (il parcheggio è poco più a ovest) c’è anche un cratere, ma non abbiamo tempo.

Roy's Motel and Cafe
Roy’s Motel and Cafe (foto di Evan Wohrman – Lyght: licenza creative commons
Route 66
Route 66 (foto di Patrick Colgan, 2017)

C’è anche qualcosa di inquietante in queste case isolate in mezzo al deserto. Naturale che questo posto sia stato anche set di diversi film, fra i quali almeno un horror (The Hitcher). Forse risalgono a uno di questi le macchie di sangue notate in una stanza da un turista (penultima finestra a destra).

I shot an old fenced off motel in the ghost town of Amboy CA. I noticed later that one room looks to have blood spatter on the walls. from creepy

Verso la Death Valley

La giornata non è ancora finita e dobbiamo ancora attraversare ore di deserto prima di arrivare a destinazione, un motel alle porte della Death Valley, appena al di là del confine con il Nevada.

Lungo la strada, all’incrocio con la Interstate 15, si incontra Baker, piccolo abitato che compete per il posto più kitsch della California (quantomeno) e turba un po’ la magia del deserto, riportandoci alla realtà: ospita un enorme termometro (funzionante) che celebra adeguatamente le temperature elevatissime dell’estare e il ristorante greco più pacchiano che abbia mai visto. Anche questi sono gli Stati Uniti.

Baker, California
Baker, California: 68 Fahrenheit = 20 gradi, forse erano anche meno (foto di Patrick Colgan, 2017)
Baker, California
Baker, California. Ristorante greco e un ‘grecissimo’ David (foto di Patrick Colgan, 2017)

Amargosa Valley

Arriviamo al nostro motel, il Longstreet Inn and Casino, che il sole è ormai tramontato (cala poco prima delle 17, in dicembre), nei pressi di Amargosa Valley, poco al di là del confine con il Nevada. La Death Valley è vicinissima. Il posto non è in fondo molto diverso da Amboy, anche se con meno storia: l’albergo-casinò da una parte, due edifici anonimi dall’altra. E poi c’è l’oscurità della notte. La nostra guida, un po’ datata, dice che una delle casupole è un saloon che è come un viaggio nel tempo, chissà se è ancora aperto. Ci separano poche centinaia di metri nel buio: sembra esserci un insegna luminosa ma è come se mi tornassero in mente tutti i film americani nei quali i locali isolati in mezzo al deserto portano in genere brutti incontri e grossi guai.

Preferiamo un hamburger fra slot machine e teche con cimeli dei due secoli precedenti (è un albergo un po’ folle, a suo modo incredibile che ci avevano caldamente consigliato Paola e Gianni).

La mattina esploriamo il giardino dell’albergo e la luce rivela il panorama che era celato dal buio. Il giardino è un angolo di vecchio west con tanto di antichi cimeli, attrezzi da lavoro, un carro, una pompa dell’acqua e manichini. E anatre (vere) che starnazzano. Ripensando alla sera prima non mi può che scappare da ridere.

Longstreet inn and casino

Informazioni utili: dove dormire vicino alla Death Valley

Lungo questa strada si trovano stazioni di servizio a 29 Palms, Amboy e Baker (ma non c’è nulla nei pressi del Longstreet Inn and Casino). La sistemazione ad Amargosa Valley è la più vicina alla Death Valley. Il Longstreet Inn and Casino è poco oltre la Death Valley Junction. L’alternativa è dormire a Furnace Creek, dentro al parco (ma è molto meglio entrare nella Death Valley all’alba).

In estate le temperature possono essere elevatissime.

La guida che abbiamo usato

Accanto a una vecchia Routard del 2008 (ancora piuttosto valida), abbiamo usato la guida dei Viaggiautori ‘Due settimane in California, scritta da Paola Annoni e Gianni Mezzadri (nella stessa collana c’è la mia guida del Giappone).
A questo link potete acquistare la Guida della California

California viaggiautori

I post sul viaggio in California

  1. Viaggio nel Joshua Tree
  2. Sulla strada per Amboy
  3. Cartoline da Los Angeles
  4. A San Francisco
  5. Ritorno al Golden Gate

E poi Visitare le cantine della California e  In California a dicembre dal blog della mia compagna di viaggio

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4 Commenti

Ale - untrolleyperdue.it Marzo 30, 2018 - 10:59 pm

Più leggo racconti sull’Ovest più non vedo l’ora di partire! Manca poco più di un mese alla partenza per Los Angeles, dalla quale ci sposteremo verso il Grand Canyon seguendo la Route 66! Credo proprio che passeremo da Amboy, questi paesi fantasma di cui il South West sembra un immenso scrigno ci ispirano parecchio. Leggo molto volentieri anche il post sul Joshua, nostra prima tappa! Complimenti per lo stile descrittivo!

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Stamping the World Gennaio 15, 2018 - 9:54 pm

L’impressione che mi hai trasmesso è davvero di desolazione, (non fraintendermi, in senso buono).
Ho immaginato (e visto nelle foto), sole, cielo e asfalto. E polvere.
Molto interessante la storia del luogo, piccoli centri abitati recalcitranti al passare del tempo e alla modernità, ma comunque vittime degli eventi. Spesso ciò che leggo della California (meta che ahimè ancora mi manca) riguarda spiagge o città costiere. Con questo spaccato della Route 66 mi hai davvero incuriosito. Grazie! :)

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patrickcolgan Gennaio 17, 2018 - 3:19 pm

Sono felice se ti ho mostrato un angolo di California un po’ meno raccontato. E’ proprio così come lo hai percepito! Ciao, un saluto! :)

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Anna Gennaio 15, 2018 - 1:58 pm

Questi luoghi sono super affascinanti: bellissimo l’itinerario!

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